
ROMA – Janine, trans brasiliana di 26 anni, nome di battesimo Renato, dopo aver contribuito ad inchiodare il pm Roberto Staffa, accusato di aver avuto incontri a sfondo sessuale in ufficio con alcuni trans in cambio di favori, è riuscita a patteggiare una condanna a tre anni, nonostante la sfilza di imputazioni a suo carico, tra cui quella pesante di sfruttamento internazionale della prostituzione. Ora ha una vita normale e lavora in un centro di chirurgia estetica.
Indagata per aver gestito i marciapiedi sotto al Fungo, il serbatoio idrico che svetta dal quartiere Eur di Roma, è stata una delle prime a confessare di aver avuto rapporti con Staffa. La sua collaborazione con gli inquirenti è stata determinante per scoperchiare il mondo dei viados nella Capitale. Il suo tariffario prevedeva 18 mila euro per ogni trans sbarcata a Roma e 3 mila euro per i metri quadri di marciapiede che assegnava loro.
Al quotidiano di Roma, Il Messaggero, racconta di aver messo la testa a posto:
“Ma mica mi sento una santa. Vivo con un ragazzo, ho per la prima volta un lavoro fisso, faccio l’impiegata in un centro per la chirurgia estetica, mi occupo della casa e ho chiuso con lo stress e la paura di quel lavoro”.
Dopo dieci anni a governare il marciapiedi dell’Ostiense si è trasferita al Nord:
“Ho ritoccato la mia sesta abbondante, il naso e poi ho fatto anche la liposcultura. Al mio fidanzato piaccio così. Addio passato”.
Agli inquirenti ha raccontato che Staffa si mostrò particolarmente “affabile” con lei e le sue amiche Ully, Brenda, Larissa romana, Camilla, e Paola. Nel verbale che ha portato all’ordinanza di arresto per concussione dell’ex pm della Dda di Roma, si legge:
“Per me era una costrizione stare in intimità con Roberto. Soprattutto non mi andava di fare sesso senza ottenere dei soldi in cambio. Ma in ogni caso lo facevo perché ogni tre mesi lui faceva la richiesta di rinnovo del mio permesso di soggiorno”.
Prove schiaccianti di quegli incontri non ce ne sono. Ma i carabinieri hanno contato che tra Janine e Staffa ci furono ben 136 contatti, di cui 79 chiamate o sms partiti dal telefonino del magistrato. Staffa si è difeso sostenendo che, in quel periodo, stava indagando con la collega Barbara Zuin sul mondo trans a Roma. Fu proprio lei a raccogliere le confidenze delle trans vittime del collega, portando alla luce lo scandalo.
