VENEZIA – Julia è un film documentario queer della fotografa e film maker J. Jackie Baier, anche lei transessuale che vive a Berlino. Per oltre 10 anni ha seguito e documentato la vita di Julia K, raccontandone l’intimità, il sesso a pagamento, per strada e nei cinema porno, le violenze, le gioie, i brevi amori, il coraggio, la solitudine, le delusioni, la droga, l’alcool, i rimpianti e i rimorsi. Il ritratto a tutto tondo e senza censure della transessuale trentenne Julia è stato presentato come evento speciale da Venice Days – Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia.
J. Jackie Baier conosce Julia a inizio degli anni 2000 a Berlino (dove la transessuale vive e si prostituisce da quando è 18enne) in un locale, nel quale per un breve periodo anche la regista, diventata donna nel 1997, fa la ‘vita’. Dal 2003 la film maker decide di raccontare Julia, prima fotografandola (la Baier ha dedicato varie mostre al mondo dei transessuali) e poi riprendendola. Un percorso fatto di incontri sporadici, a volte casuali.
La vediamo così negli anni tra scelte sbagliate, la politossicomania (Julia è alcolizzata e utilizza droghe a volontà, eroina compresa), gli sprazzi di vita quotidiana che si ritaglia vivendo con un uomo ”all’antica, che mi lascia in pace, perché vuole solo donne vere” e nella parte finale, in un suo ritorno a casa in Lituania, a Klaipeda, dove era stata fino a 16 anni un brillante allievo alla scuola d’arte; un passato che conserva continuando a dipingere acquerelli.
Allora il contrasto con la madre e la consapevolezza che nel suo Paese non avrebbe potuto vivere da transessuale (come le conferma un ex vicino di casa che vedendola ‘trasformata’ le consiglia solo di farsi curare) l’avevano portata a trasferirsi in Germania, per una vita che rivendica, nonostante tutto. ”Non sono una donna, non sono un uomo, ma qualcosa in mezzo – dice Julia nel film -. Una buffa creatura di Dio”. La Baier spiega che ad averla affascinata della sua protagonista ”è la risolutezza. Il suo entusiasmo, la sua euforia per avere la vita per la quale ha combattuto – dice la regista -. La sua natura di ribelle è contrastata dall’inesplicabile tragico sguardo nei suoi occhi che viene da molto lontano”.