ROMA – In 10 minuti e 26 secondi di video 40 colpi vengono sparati da una nave contro quattro uomini in mare: i quattro muoiono uno dopo l’altro. Inutili i loro tentativi di sottrarsi a quella che sembra un’esecuzione, di cui fino ad ora si ignorano i colpevoli e le vittime. Il video – pubblicato dal New York Times – è stato ritrovato su un cellulare dimenticato a bordo di un taxi nelle isole Fiji. Le indagini del governo locale si sono concluse senza dare un nome ai morti e ai loro assassini.
Il video. Quattro grosse navi da pesca, attrezzate per la caccia del tonno bianco, formano un cerchio intorno a quattro uomini in mare. Una voce fuori campo, dagli altoparlanti della nave, ordina: “Spara! Spara! Spara!”. A bordo si sente parlare in cinese, indonesiano e vietnamita. In mare si vedono delle teste che si agitano intorno a quello che appare come il relitto di una barca di legno rovesciata. Intorno a loro gli spruzzi dei colpi andati a vuoto. Ma poi puntualmente c’è sempre qualche colpo che va a segno e intorno alle teste si allargano nel blu dell’Oceano Indiano le chiazze rosse di sangue. Alla fine del filmato dei membri dell’equipaggio si mettono in posa per scattarsi un selfie. A bordo l’atmosfera è rilassata.
Dove e chi, come e quando. E perché. Il fatto si è verificato nell’Oceano Indiano, probabilmente nella zona meridionale del mare cinese fra Taiwan, il Vietnam, la Malesia e le Filippine, ritenuta una delle più pericolose al mondo. Questo è l’unico dato certo. Perché, nonostante decine di testimoni presenti alla scena, queste quattro fucilazioni rimangono un mistero. Nessuno ha denunciato l’accaduto. Non ci sono quattro marinai che mancano all’appello di nessun equipaggio. Né tantomeno quattro cittadini che risultino dispersi.
Delle quattro navi che appaiono nel video una è stata riconosciuta come taiwanese, la Chun I 217, una nave da 725 tonnellate di stazza. Quindi le autorità della pesca a Taiwan hanno indagato e interrogato il capitano di quella nave. Senza ottenere molto ma senza sforzarsi più di tanto. A Taiwan l’industria della pesca è intoccabile. Ed assume “contractor” che si occupano della sicurezza a bordo.
Il video con ogni probabilità è stato girato dalla guardia privata che ha esploso i quaranta colpi di arma semi-automatica con la quale ha ucciso i quattro uomini. Si sa il nome del capitano della nave, si sa il nome dell’armatore, si sa il nome della società di sicurezza privata. Ma non si sa (o non si è voluto sapere) il nome dello sparatore e il motivo dei quattro omicidi, così come l’identità degli ammazzati. Conclusione delle autorità di Taiwan: i quattro morti erano pirati che avevano fallito il loro attacco.
Ma per gli esperti di sicurezza marittima la pirateria è diventata una comoda copertura per i regolamenti di conti. Secondo gli esperti è altrettanto probabile che gli uomini erano pescatori locali finiti in acque contese, o membri di un equipaggio ammutinato ancora clandestini scoperti a bordo o ladri sorpresi a rubare pesce o esche. Perché, spiega il NY Times, pirati o non pirati gli oceani sono pieni di imbarcazioni armate come portaerei:
“Gli oceani, che mai come adesso sono stati così affollati di navi, sono pieni di armi da fuoco e non sono mai stati così pericolosi dalla fine della seconda guerra mondiale“, spiegano gli studiosi di storia navale. Migliaia di marinai ogni anno sono vittime di violenza, con centinaia di morti, secondo i funzionari di sicurezza marittima e gli assicuratori navali. Lo scorso anno in tre regioni da sole – l’Oceano Indiano occidentale, il Sud-Est asiatico e il Golfo di Guinea al largo dell’Africa occidentale – più di 5.200 marittimi sono stati attaccati da pirati e ladri e più di 500 sono stati presi in ostaggio”.