Bosnia senza governo, ad un anno dalle elezioni

SARAJEVO, 3 OTT – E’ passato esattamente un anno dalle elezioni legislative del 3 ottobre 2010 in Bosnia-Erzegovina, ma i risultati del voto sono ancora oggetto di discussione tra i leader dei sei maggiori partiti politici e tra le tre comunità etniche – serba, croata e musulmana – che non hanno ancora raggiunto un accordo per formare il governo centrale al quale spetta di realizzare le riforme necessarie per l’integrazione europea del Paese, voluta, a parole, da tutti i leader bosniaci.

La mancanza di un governo centrale e le discussioni inconcludenti, mentre sono operativi gli esecutivi delle due entita’ che compongono il Paese – la Federazione Bh (a maggioranza croato-musulmana) e la Republika Srpska (Rs, a maggioranza serba) – sono lo specchio della più grave crisi politica e istituzionale vissuta dal Paese dalla fine della guerra ad oggi.

Al termine del sanguinoso conflitto che fra il 1992 e il 1995 provocò 100mila morti e 2 milioni di profughi, l’accordo di Dayton, che nel novembre 1995 pose fine alla guerra, sancì al tempo stesso una rigorosa divisione etnica del paese balcanico e la costituzione di uno Stato fondato su istituzioni il cui contenuto politico è il nazionalismo etnico: oggi i politici bosniaci concordano solo che il governo centrale debba essere composto da tre serbi, tre croati, tre musulmani e un rappresentante degli ‘altri’.

Il principale ‘pomo della discordia’ sono i rappresentanti croati: le elezioni nella Federazione Bh sono state vinte dal Partito socialdemocratico (Sdp, multietnico) di Zlatko Lagumdzija e dal Partito d’azione democratica (Sda, musulmano), ma i due principali partiti nazionalisti croati, l’Hdz e l’Hdz 1990, nonostante un numero ridotto di consensi ottenuti, non accettano che i croati bosniaci possano essere rappresentati legittimamente da un croato che non militi nelle loro fila bensi’ nell’Sdp.

I veri avversari, però, sono Lagumdzija e il serbo bosniaco Milorad Dodik, presidente della Rs e leader della Lega dei socialdemocratici indipendenti (Snsd, serbo nazionalista), che ha vinto a grande maggioranza nella Rs. Dodik non vuole un governo centrale forte e sostiene i nazionalisti croati, mentre il leader del Sdp insiste sul maggior numero di consensi ottenuti e su un concreto programma di riforme attorno al quale ha raccolto l’Sda e alcuni partiti minori.

Gli appelli e le pressioni dell’Unione europea e degli Stati uniti perche’ i leader politici trovino un compromesso, non hanno finora dato risultati e da un anno il Paese è guidato dal ‘governo uscente’, il processo delle riforme, rallentato durante la precedente legislatura, ora è completamente bloccato, ma i leader bosniaci non sembrano preoccupati che la Bosnia resti il ‘buco nero’ mentre i paesi della regione stanno accelerando sulla strada verso l’Ue.

Secondo Zeljko Komsic, esponente croato della presidenza tripartita bosniaca, l’intera situazione non ha più senso e bisognerebbe pensare ad elezioni anticipate, ma il problema è che la legislazione bosniaca non prevede per nulla tali elezioni né la relativa procedura. ”Non sono sicuro – ha detto – Komsic – che qualcuno possa convincere la maggioranza dei parlamentari a votare un auto-scioglimento”.

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Maria Elena Perrero