ROMA – Alle undici di mattina la lettera è ancora allo stato di bozza confusa: il portavoce della Commissione Europea fa sapere da Bruxelles che nulla è pervenuto. Gianni Letta dice che serve qualche ritocco. Una brutta copia circola ancora freneticamente tra Palazzo Chigi, la Commissione europea e il Consiglio Ue. E non per questioni di ortografia. Si cerca di concordare in anticipo i contenuti prima del summit. C’è grande agitazione e ansia tra i ricamatori del “punto Italia”, nemmeno uno dei punti principali all’ordine del giorno in programma alla riunione del condominio più diviso del mondo. Il Consiglio Europeo è stato spostato alle 18, Berlusconi ci sarà: a chi, ieri, parlava di una sua rinuncia, è stato applicato un bavaglio.
Con quale faccia si presenterà il premier? Certo, l’umiliante scenetta del duo Merkel-Sarkozy, consentirà a Berlusconi di reclamare più rispetto. Ma potrebbe anche sbattere una scarpa sul tavolo, dare del kapò a qualcuno, a un certo punto i colleghi europei esigeranno quella lettera. Per la Commissione (lo ha ribadito il portavoce) quella lettera è l’unica arma che l’Italia dispone per “riguadagnare fiducia”. Una fiducia che al momento non c’è. E non serve appellarsi alla crisi internazionale, alla sua dimensione globale, se un italiano, il prossimo presidente della Bce Mario Draghi, ha appena finito di sostenere che “la vulnerabilità italiana ha radici nazionali“. Quindi, ci sentiamo di escludere che i partecipanti al summit possano sopportare in silenzio lo stesso pistolotto sull’economia politica globale che Berlusconi inflisse al Parlamento italiano nell’ultimo discorso per ottenere la fiducia.
A proposito di fiducia, a quel tavolo, anzi a capotavola, sarà seduta un’Angela Merkel forte del mandato (obbligatorio) del Bundestag per trattare al Consiglio Europeo. Un mandato pieno, sottoscritto da tutte le forze politiche, di maggioranza come di opposizione. Un mandato che contiene una serie di paletti che circoscrivono pesantemente i margini di trattativa del capo del governo, che non può prendere impegni che mettono a repentaglio il budget tedesco. Cioè sì la Fondo salva stati per evitare contagi, riduzione tra il 50 e il 60% del debito greco, un limite preciso (30 giugno 2012) per la ricapitalizzazione delle banche europee. Ma soprattutto un no secco alla moltiplicazione dei fondi di salvataggio, immaginata dalla Francia e uno stop all’acquisto da parte della Banca Centrale Europea di bond sofferenti. Gli Stati, questo il principio, non devono avere la percezione che ci sia comunque un paracadute per l’insipienza e i ritardi dei propri governi. Per essere più chiara la Mekel lo ha ribadito al Bundestag: “”Lo scudo protettivo dell’EFSF serve a evitare il pericolo di un contagio, ma ogni paese a rischio deve fare i suoi compiti a casa, in modo da raggiungere autonomamente una propria stabilita”.
Cioè il caso dell’Italia, che quanto a “fare sistema” non accetta lezioni da nessuno e per questo mantiene un Parlamento che non sente il bisogno di discutere, decidere, legiferare. Berlusconi, capoclasse chiamato alla lavagna, si beccherà una severa reprimenda. Gli verrà contestata l’impreparazione cronica, specie nei compiti scritti. Per tradurre come si deve la parola impegni, bastava seguire l’esempio fornito dalla ormai famosa lettera Bce. Gli verrà imputata la leggerezza con cui si sceglie le compagnie, ricordandogli che i tipacci alla Bossi son tenuti lontani dalla stanza dei bottoni. Ma la giustifica per malattia in tasca varrà molto più del giudizio su un abbozzo di lettera piena di strafalcioni. Il virus circola davvero, l’Italia ha tutti i sintomi, qualche alunno che si sentiva un modello di salute e virtù inizia a tossire in francese. Berlusconi sarà rimandato. E’ l’ultima volta: la prossima è quarantena.