De Mita, Luigi Berlinguer, Cohn-Bendit: i “decani” che lasceranno il Parlamento europeo

Ciriaco De Mita (LaPresse)

BRUXELLES – Alle 12.43 di giovedì 17 aprile l’ultimo voto della settima legislatura del Parlamento europeo. Una larghissima maggioranza a favore di una simbolica risoluzione che chiede di allentare il cappio regolamentare e burocratico a dodici stelle stretto al collo delle Pmi. Poi, alla fine della 76 esima riunione plenaria di cinque anni in cui l’Europarlamento ha approvato 970 atti legislativi e 740 tra risoluzioni, raccomandazioni e pareri, è cominciato il tempo degli abbracci, degli arrivederci e degli addii tra gli ‘uscenti’.

Almeno il 60% di loro non tornerà, per scelta o per trombatura, negli uffici di Bruxelles e Strasburgo. Le elezioni del 22-25 maggio disegneranno un’ Eurocamera profondamente diversa da quella che ha sperimentato i nuovi poteri che le sono stati consegnati dal Trattato di Lisbona. Ci saranno i ‘grillini’ (18, secondo l’ ultima previsione di PollWatch) e gli euroscettici di tutte le sfumature, i nazionalisti, i populisti e gli estremisti di destra e sinistra. Tutti insieme, 222 eurodeputati su 751.

Nel frattempo, anche chi è sicuro di tornare ha dovuto vuotare le stanze, fare gli scatoloni, raccogliere poster, quadri, souvenir, foto, gagliardetti e faldoni e consegnarli ai ‘traslocatori’ del Parlamento. Che li hanno piazzati in un enorme deposito in attesa dell’esito del voto, ma soprattutto del mese di giugno in cui si formeranno i nuovi gruppi, decisivi per la nuova distribuzione degli spazi. Chi ha già deciso di non ripresentarsi ha invece già comunicato l’indirizzo di casa, come Ciriaco De Mita (che a 86 anni ha smesso giovedì, dopo mezzo secolo, di essere un rappresentante del popolo). O Come Luigi Berlinguer, Vittorio Prodi e Rita Borsellino tra i Pd. O come Cristiana Muscardini, la decana degli europarlamentari italiani. Voce roca da fumatrice, piglio inconfondibile, ex missina, ex pidiellina, ex finiana, arrivata in Europa nel 1989, quando ancora c’era il Muro e lei aveva una quarantina d’anni, in Europa ha sempre preferito restare, anche quando era stata eletta in Italia, e non nasconde la “malinconia” che viene quando si accorge che l’ultimo voto è passato. Ripudiati Berlusconi e Fini, la Muscardini da Cannobbio – madre di epiche battaglie per il ‘made in’ e per “gli interessi degli italiani” – negli ultimi due anni della legislatura europea ha costruito un suo movimento di ‘Conservatori e Social Riformatori’, ha lasciato il Ppe per andare con i conservatori di Cameron nell’Ecr.

In Italia ha cercato di agganciarsi alla lista liberale ‘Scelta Europea’, ma è mancato l’accordo con Guy Verhofstadt che la cura personalmente. “E’ difficile anche pensare che non andrò più nell’albergo in cui sono andata per 25 anni”, dice, “ma c’è anche leggerezza perché ora potrò fare quello che ho sempre rimandato”. Obiettivo immediato fare campagna per Marinella Colombo, la mamma simbolo della guerra contro lo ‘Jugendamt’ (l’agenzia federale per l’infanzia tedesca) e per la quale ha trovato un posto in lista d’accordo con l’ex premier belga.

Del prossimo Parlamento non faranno comunque parte tanti altri padri e madri nobili delle ultime tre-quattro-cinque legislature. Addio quindi a Daniel Cohn-Bendit, che andrà ad inventarsi una carriera da regista dopo quella di leader del Maggio francese nel ’69 e di leader dei verdi all’Europarlamento negli ultimi venti anni. E addio anche a Joseph Daul, allevatore alsaziano assurto alla poltrona di presidente del Ppe grazie alle democristiane qualità di naturale mediatore tra Parigi e Berlino dimostrate in 15 anni tra Bruxelles e Strasburgo. E saluti pure a Hannes Swoboda, l’austriaco che ha fatto da capogruppo supplente di Martin Schulz tra gli S&D dopo che il socialdemocratico ha preso la presidenza del Parlamento per poi lanciarsi nella corsa alla successione di Josè Manuel Barroso nel Berlaymont.

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Lorenzo Briotti