Un articolo del Corriere della Sera di oggi 30 ottobre, racconta quanto “Mr Nessuno” Van Rompuy sia oramai diventato indispensabile in Europa. Un anno fa, quando Herman Van Rompuy fu nominato presidente del Consiglio europeo, moltissimi si chiesero come si dovesse pronunciare il suo cognome. In effetti a conoscerlo un po’ erano soltanto i belgi, che il premier Van Rompuy provava da mesi, e con qualche successo, a tenere uniti.
Se riesce a calmare valloni e fiamminghi, dissero allora i più ottimisti, – continua il Corriere – sarà anche bravo ad arrotondare gli spigoli di una Europa diventata troppo larga. Ma la grande maggioranza degli osservatori videro nella designazione di questo Uomo venuto dal nulla una conferma del male europeo. Esistevano candidati di alto profilo a cominciare da Tony Blair, e invece i Ventisette avevano scelto un peso piuma, l’immagine anche fisica del grigiore, insomma una simbolica rinuncia alle ambizioni contenute nel Trattato di Lisbona.
Per il Corriere, al presidente Van Rompuy, un anno dopo, dobbiamo delle scuse. Certo, è ancora vero che egli non ha le virtù del grande oratore e che il suo viso un po’ da sorcio non è fatto per conquistare. Ma al corale disprezzo che l’aveva accolto Van Rompuy ha avuto il grande merito di reagire con i fatti. Con un lavoro discreto e tutt’altro che rinunciatario. Con un buonsenso e una capacità di mediazione che ha superato collaudi severi. E così, passo dopo passo e silenzio dopo silenzio, Van Rompuy da Mister nessuno è diventato un qualcuno indispensabile, il re dei pontieri, l’uomo dei momenti di emergenza quando risulta difficile mettere d’accordo i Grandi, i Medi e i Piccoli della Ue.
A Bruxelles, nel vertice terminato ieri, il copione si è ripetuto – aggiunge il Corriere – . Dopo l’intesa separata tra la Merkel e Sarkozy esistevano tutte le premesse per una tempesta che i mercati avrebbero trasformato in suicidio. Un fondo anti-crisi permanente dopo quello attuale che durerà tre anni, lo volevano tutti. Ma come superare lo scontro tra chi esigeva una riforma del Trattato di Lisbona (Merkel), chi l’aveva tollerata in cambio di contropartite (Sarkò) e chi ad essa si opponeva con forza? È stato Herman Van Rompuy a mettere sul tavolo la proposta di compromesso subito accolta da tutti: riforma del Trattato sì ma «leggera», procedure di ratifica semplificate, mandato esplorativo al presidente e alla Commissione per tentare di decidere davvero a dicembre, con la metà del 2013 come traguardo per l’entrata in vigore.
Un piccolo capolavoro con l’annuncio di una cosa non ancora fatta, con garanzie minime (basteranno?) per la Merkel ma anche per gli altri, con alcune settimane di tempo per risolvere gli ostacoli legali che ancora si frappongono all’accordo di principio enunciato ieri.
Il successo dell’impresa non è garantito. «Si apre un gioco politico e legale molto pericoloso», osservava a Bruxelles un diplomatico francese mentre la Merkel si diceva soddisfatta di aver promosso la sua «cultura della stabilità». Ma il fatto che la quadratura del cerchio sia stata affidata a Van Rompuy, oltre che a Barroso, fa diventare speranzose anche le più inveterate Cassandre. E nessuno ride più quando si dice che per andare avanti ci vorrà una «task force Van Rompuy», etichetta questa già adottata per rendere più severo il Patto e già fatta oggetto di isolate ironie sulla presunta inconciliabilità tra il concetto di task force e la personalità tutta cautele di Van Rompuy.
Nella realtà di una Unione messa a nudo dalla crisi greca e dalle sue ricadute, il presidente è chiamato a mediare tra i commensali seduti al tavolo europeo. E questo lui, il recordman del basso profilo, ha dimostrato di saperlo fare come pochi altri.
Al punto che molti belgi, sempre più vicini a una catastrofica divisione del Paese, lo vorrebbero indietro. Almeno in prestito, conclude l’articolo del Corriere della Sera.