Forza Italia «non ha mai avuto collegamenti con la mafia», mentre sarebbe in atto «un tentativo di delegittimazione dell’azione del governo Berlusconi sempre in prima linea nella lotta a Cosa Nostra». Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, replicando così a distanza a quanto affermato da Ciancimino junior nel corso del processo a Palermo.
Il Guardasigilli, interpellato dai cronisti a margine del terzo congresso nazionale della Uil-Pa, premette di non voler esprimere un suo giudizio rispetto a quando dichiarato da un teste, Massimo Ciancimino jr, nel corso di un processo. Tuttavia Alfano ricorda di aver militato in Forza Italia sin dal ’94, ricoprendo diversi incarichi in Sicilia: «Mai e poi mai abbiamo avuto la sensazione che la nostra storia, questa grande storia di partecipazione che ha emozionato milioni di persone in Sicilia e altrove, possa aver avuto collegamenti con la mafia».
Alfano sostiene inoltre che «il governo Berlusconi con le leggi antimafia ha fatto esattamente il contrario di ciò che prevede il papello». Dal momento che poi «la mafia non teme dibattiti e convegni ma teme la confisca dei beni e il carcere duro, abbiamo – ha aggiunto – fatto una guerra alla mafia con la normativa di contrasto più duro dai tempi di Falcone e Borsellino. Tanto è vero che il modello Italia è diventato esempio per i paesi del G8».
«Non vorrei – ha dunque sottolineato Alfano – che vi fosse da più parti un tentativo di delegittimazione dell’azione di un governo che contrasta la mafia. La mafia non sempre sceglie la via dell’assassinio fisico, ma a volte quella delle delegittimazione».
Durante la sua deposizione, Ciancimino ha dichiarato infatti che «Forza Italia è il frutto della trattativa tra lo Stato e Cosa nostra dopo le stragi del ’92». A riferirglielo sarebbe stato il padre Vito Ciancimino, che secondo il figlio avrebbe avviato dopo il maggio del 1992 la trattativa con i carabinieri da un lato e i boss mafiosi dall’altro. L’argomento è stato affrontato dal teste nel corso della spiegazione di un pizzino, depositato agli atti del processo, e che a suo dire sarebbe stato indirizzato dal boss Bernardo Provenzano a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri.
