Amnesie di Monti mani di forbice: soldi elettorali ai partiti e poltrone

Mario Monti espone la manovra al Senato (Lapresse)

ROMA – Monti “mani di forbice” ha avuto nella sua manovra un tocco troppo gentile con la “Casta”, con i costi della politica. Lo si è capito subito analizzando i contenuti della manovra. Ma in un momento in cui il Parlamento vota sacrifici per tutto il Paese, tagliare i privilegi degli “eletti” è un’operazione di giustizia sociale e non solo di ragioneria. E poi lo stesso Monti lo aveva promesso.

Di tagliare le spese di Camera e Senato se ne parla da anni. Nel 2006 Tommaso Padoa Schioppa voleva bloccare quei costi che erano cresciuti nell’ultimo quinquennio del 15,2% oltre l’inflazione a Montecitorio e del 38% a Palazzo Madama. Gli allora presidenti Fausto Bertinotti e Franco Marini raccontano Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere della sera

presero carta e penna e risposero assai piccati che per «autonoma assunzione di responsabilità» avevano deciso di rinunciare ad aumentare i costi in linea con il Pil nominale, accontentandosi dell’inflazione programmata. Come fosse una rinuncia epocale. Risultato: dal 2006 al 2010 le spese correnti di Montecitorio, con la sinistra e con la destra, sono salite ancora del 12,6% per un ammontare di 149 milioni. Quelle di palazzo Madama del 9,4%, per altri 46 e mezzo. Totale: 195 milioni in più. Negli anni della grande crisi.

Monti può e deve mettere un tetto a questi sprechi. Secondo l’istituto Bruno Leoni per mantenere il Parlamento ogni cittadino italiano spende 26,33 euro, contro 13,60 di un francese, 10,19 di un britannico, 5,10 di un americano.

Colpendo i rimborsi elettorali, per esempio, cioè quel sistema che ha fatto rientrare dalla finestra il finanziamento pubblico ai partiti, uscito dalla porta grazie a un referendum che lo aveva abolito. L’Italia, uno dei paesi più corrotti al mondo, paga i partiti – per preservarli dalla corruzione – una cifra che costa 3,30 euro a cittadino: il doppio della Germania e quasi il triplo della Francia. E poi, spiegano Rizzo e Stella

c’è la legge che spiega come “le erogazioni liberali in denaro” a organizzazioni, enti, associazioni di assistenza si possono detrarre dalle imposte per il 19% fino a un tetto massimo di 2.065 euro e 83 centesimi. Tetto che per i finanziamenti politici è cinquanta volte più alto. Di qua un risparmio di 392 euro per chi regala 100.00o euro alla ricerca sulle cardiopatie infantili, di là uno di 19.000 per chi versa la stessa somma ad Alfano o Bersani. I risparmi non sarebbero molti? 

O arginando l’espansione della “Grande Serbia” delle istituzioni italiane: la presidenza del Consiglio, che è arrivata a occupare venti sedi e a impiegare 4.600 persone, circa tre volte quelle che servono a far funzionare il Cabinet Office, omologo britannico di Palazzo Chigi. E se vanno bene alla Gran Bretagna, 1.200 dipendenti potrebbero bastare anche al premier della piccola Italia.

Sulle pensioni poi è stato perlomeno enfatizzato il “tributo di sangue” di deputati, senatori e consiglieri regionali. Non basta far scattare il contributivo dal 2012 per i vitalizi parlamentari. Scrivono Rizzo e Stella:

Ancora oggi deputati e senatori che durante il mandato istituzionale intendono continuare ad accumulare anche la pensione, possono farlo versando soltanto il 9% della retribuzione relativa alla loro vecchia attività: magistrato, professore, medico, dirigente d’azienda… Il restante 24% è un contributo figurativo che grava sulle casse dell’ente di previdenza. Cioè quasi sempre dello Stato. Porre l’intero 33% a carico del beneficiario sarebbe una misura di giustizia elementare.

I costi da tagliare non sono solo al centro ma anche, e parecchio, in periferia. Si può intervenire sulle cifre assurde spese per tenere in funzione Consigli regionali e comunali. Mettere un costo standard tarato su quello delle Regioni più virtuose (Lombardia ed Emilia Romagna). Legare, nei Comuni, i gettoni di presenza alla popolazione residente. I consiglieri di Comuni con 40 mila abitanti non possono prendere 10 mila euro al mese, come purtroppo succede. Agganciare alla popolazione anche il numero di auto blu a disposizione degli enti locali, tuttora un parco macchine esagerato.

Altro pozzo senza fondo sono le società pubbliche controllate dagli enti locali e dallo Stato: 7 mila, che comportano il mantenimento di 38 mila poltrone di amministratori e dirigenti. Monti dovrebbe mettere un tetto al numero di consiglieri e dirigenti per società e dare vincoli di bilancio alle stesse. Bilanci che dovrebbero essere tutti pubblici e online: delle società come delle istituzioni, con voci di spesa non “elusive” o “ambigue”. Vanno pubblicati anche i redditi dei politici, i finanziamenti che ricevono e i loro spostamenti, per limare – ad esempio – gli eccessi di “voli blu”.

Monti quindi per iniziare a “togliere i privilegi“, come aveva annunciato nel discorso di insediamento, ha solo l’imbarazzo della scelta. Bisognerà vedere poi se deputati e senatori avranno un po’ di imbarazzo a votare contro i tagli.

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