ROMA – L’altro giorno alla Camera ha fatto capolino il dodicesimo apostolo, non ancora convertito ma un paio di passi sulla via di Arcore li ha già mossi. Si votava una mozione, una di quelle che potevano mettere in imbarazzo il governo e la maggioranza. In imbarazzo perché in questo caso governo e maggioranza difendono una trincea stretta e angusta: quella che fa votare in date diverse, tre volte in un mese, per tener distinti e separati referendum e consultazioni amministrative. A metà maggio si vota per i sindaci di Bologna, Torino, Napoli, Milano e altre centinaia di Comuni. Quindici giorni dopo si rivota per il turno di ballottaggio, il 12 giugno si torna alle urne per i referendum su legittimo impedimento, nucleare e acqua. Risultato in termini di cassa: 300 milioni di euro che non si risparmiano votando tutto in un solo giorno, il governo non ha voluto l’election day. Posizione comprensibile: non favorire il raggiungimento del quorum. Posizione scomoda perché l’opinione pubblica non gradisce l’extra costo. Dunque si votava una mozione delle opposizioni favorevoli all’election day. Non c’erano tutti i parlamentari, c’erano assenze di qua e di là. Alla resa dei conti risulteranno votanti 551 deputati su 630. E il conto finale dirà: mozione respinta 276 a 275, respinta per un voto. Il voto di chi? Del potenziale dodicesimo apostolo, dell’ apostolo precario e occasionale, dell’apprendista apostolo: Marco Beltrandi radicale eletto nelle liste Pd. Lui ha votato contro l’election day e ha spiegato che lo ha fatto perché è contrario a “drogare” il quorum con l’abbinata delle amministrative. Lui ha tolto di imbarazzo la maggioranza e il governo, lui, stavolta, ha fatto maggioranza per il governo. E non è solo un caso fortuito, un precedente c’é: è lo stesso Beltrandi che, quando si trattò della Rai, fu molto vicino a governo e maggioranza nel sostenere che gli ospiti e gli argomenti del talk-show politici li dovevano scegliere i partiti.
Apostolo, sia pur contingente e apprendista, di cosa? Del ribaltone nascosto. Ce ne sono altri undici di apostoli del ribaltone, questi ufficiali e convinti. Quattro vengono dall’Idv, tra loro i famosi Razzi e Scilipoti. Cinque vengono dall’Udc, tra cui Saverio Romano in attesa di nomina ministeriale. E due dal Pd, uno è quel Calearo che fu capolista in Veneto. Idv, Udc, Pd: tre partiti di opposizione. Undici eletti nelle liste dei partiti di opposizione che sono passati con Berlusconi. Libero e legittimo convincimento, legale e rispettabile esercizio del cambiare idea. Però il centro destra, Berlusconi in testa, quando a cambiare idea furono quelli del Fli di Fini, non fecero buon viso a cattivo gioco, non dissero libero e legittimo convincimento. Dissero, gridarono: “Ribaltone”. E cioè somma ingiuria alla volontà popolare, scandalo politico e istituzionale, intollerabile tradimento. Questo dissero e gridarono. Ora che il ribaltone c’è, e su questo si regge la maggioranza di governo, nessuno del centro destra fa un fiato.
Son troppo mobili i deputati? C’è una loro peculiare e particolare flebilità etico-civile evidenziata dall’accasarsi là dove si ottengono vantaggi? Tutt’altro: il ceto parlamentare non è più “mobile” di quanto non sia il resto del paese e della società italiana. Questione di cultura, cultura profonda. Lo ha spiegato Giuliano Ferrara in tv: “Con Prodi lo slogan era la serietà al governo, con Berlusconi lo slogan è la libertà al governo”. Quindi libertà vince su serietà ed è questa la regola e il costume. E lo aveva spiegato e capito meglio di tutti a suo tempo Norberto Bobbio: “Se gli italiani siano migliori o peggiori della classe politica che li rappresenta, e li rappresenta perché essi stessi la scelgono, è una domanda cui è difficile dare una risposta. Ma non vedo come si possa scartare del tutto l’ipotesi che gli uni e l’altra si assomiglino come due gocce d’acqua”.
Società, paese morbidi e liquidi come liquido è il ceto parlamentare. Resta solo il problema di come “imbottigliarli”, ne sa qualcosa Berlusconi. E’ andato da Napolitano a chiedergli se non fosse d’accordo nel giudicare immediato e urgente un decreto per un paio di dozzine di posti in più al governo. Napolitano, che di solito è serioso, all’immediato e urgente non ha saputo trattenere un sorriso. Un po’ gli veniva da ridere anche a Berlusconi che infatti ha sondato e rinunciato. Però quel paio di dozzine di posti al governo a Berlusconi servono proprio. Può, per legge, distribuirne solo la metà. Quasi tutta prenotata dagli undici apostoli del ribaltone, l’altra metà la vogliono quelli che in maggioranza già c’erano. Sono i problemi tipici degli uomini della provvidenza che raccolgono apostoli: moltiplicare i pani e i pesci, i mezzi ministeri e i sotto segretariati.