La B2 mobilita verso elezioni. Fini evoca un’altra Destra

Bella ed efficace l’immagine del “Serpente e la Mangusta” che leggo di primo mattino su Blitz per descrivere la lotta tra Fini e Berlusconi. Volendo essere pignoli, manca il “Falco”, il rapace che se li può mangiare tutti e due, cioè Bossi. Come andrà a finire tra il Serpente e la Mangusta? Berlusconi e Bossi accetteranno, sia pur di chiara malavoglia, il “patto di legislatura”, cioè di continuare a governare per i prossimi tre anni con Fini terzo incomodo nella maggioranza? Accetteranno di pagare il prezzo di essere in tre a danzare o correranno il rischio di elezioni anticipate per buttare Fini “fuori dalle balle” come dice il leader della Lega? Scommessa libera, la prima “puntata” al Superenalotto della politica si raccoglie e misura già la prima sera del primo giorno dopo: Berlusconi e Bossi si vedono e provano a scegliere. Non tutto la prima sera, non tutto dipende da loro. Ma dalla prima sera si vedrà che aria tira. Anzi già si vede: Maroni che chiede di andare al voto subito è più di un presagio, già quasi un annuncio.

Gianfranco Fini arringa la piazza di Mirabello

Ci sto ancora pensando agli esiti, le movenze, i passaggi della lotta tra Serpente, Mangusta e Falco, le elezioni sì o no a primavera, gli schieramenti, le percentuali, le alleanze… quando, alle 13,36 del giorno dopo Mirabello, mi arriva un sms. Me lo invia un caro amico di vecchia data, uno che ha sempre non solo votato ma anche “pensato” a sinistra, un intellettuale, uno che a suo tempo la sociologia avrebbe definito un “borghese riflessivo”, insomma un moderato progressista di buone intenzioni e sentimenti e ottima cultura. Il testo del messaggio è: “Perché non possiamo dirci finiani?”. E allora capisco, pensando a che risposta dare alla domanda, che la questione non è “chi” vince ma “cosa” vince. Il Serpente e la Mangusta, con il robusto contorno del Falco, lottano e lavorano in e per un campo, un territorio, una tana e una preda che tutte si chiamano “destra italiana”. Qualcosa di grande e importante che riguarda e interessa da molto vicino me stesso, il mio amico, la sua domanda. Ma che non ci appartiene.

Fino a qualche tempo fa era in uso tra giornalisti politici reciprocamente porsi la domanda: qual è il titolo? Era esercizio di sintesi ma anche e soprattutto test di lucidità previsionale, qualcosa che avesse una scadenza e validità d’uso superiore almeno alle 12 ore. Ecco il titolo che avrei fatto per il Fini di Mirabello è: “Berlusconi, io la destra te la tolgo”. Capisco che sarebbe stato più immediato una cosa del genere: “Fini: La B2 (Bossi-Berlusconi) non farà più il comodo suo”. Ma alla lunga è il primo titolo quello che vale: di chi è, cosa è, cosa può essere e sarà la destra italiana? Se questa è la domanda, allora Fini parte molto svantaggiato.

Alla fine del suo discorso, mentre beveva un sorso d’acqua, gli tremavano le mani. I politici possono simulare molte cose, ma questo no. Questo era puro cocktail tra ansia, paura e orgoglio. Fini ha detto di cercare una destra, un popolo, una gente di destra per cui conta di più “ciò che è giusto” rispetto a “ciò che è utile”. Ha chiarito: “Prima di rivendicare un diritto, occorre riconoscere e assolvere un dovere”. Esiste una maggioranza di popolo e di gente così in Italia, esiste una maggioranza di popolo e di gente di destra italiana disposta davvero e pensare e a comportarsi così? Quella di Fini può anche essere retorica da comizio, non è necessario giurare sulla sua persona. Però la sua domanda è quella vera: esiste gente così, esiste in misura tale da poter essere la “gente di destra”? Esiste, tanto per dirla con Fini, la possibilità di un federalismo e di una società “equa e solidale” in un paese che a larga maggioranza di equo e solidale concepisce e tollera solo le banane?

Fini questa gente di destra, questa brava, onesta gente di destra la evoca. Però non la definisce. Anzi i contorni sociali di questa destra restano nello stesso discorso di Fini indistinti. Sì, meno tasse per la famiglia, il cosiddetto quoziente familiare. E soldi per la polizia, l’istruzione, la ricerca, la competitività. E flessibilità del lavoro che è il contrario della precarietà a vita. Fini non è Berlusconi e non promette che tutti avranno tutto, dice esplicitamente che è “demagogia” promettere tutto a tutti, dice che qualcuno non avrà, che qualcuno dovrà pagare e non incassare. Bene, bravo. Però Fini non dice chi o cosa non incasserà e invece pagherà. Non può dirlo perché non lo sa o perché sa che la “gente” di destra (ma quella di sinistra farebbe altrettanto) non ci sta?

Fini dice che molti gli hanno detto: “Ma chi te lo fa fare…sei più giovane, aspetta…non dire, quello è permaloso, ci rimetti”. Fini dice che a pensare così, a pensare e ad agire tutti insieme così, il Paese va in malora e in rovina. Ma se sommiamo quelli che nel Paese pensano a non rimetterci, a non rischiare, a non farsi male, allora siamo alla maggioranza degli elettorati, di destra e di sinistra, per non parlare di quello leghista.

Fino a che Fini descrive “il peggior stalinismo” che ispira la sua cacciata dal Pdl, fino a che descrive il “partito del padrone”, i “telegiornali fotocopie dei fogli d’ordine del Pdl”, la “lapidazione islamica” contro chi dissente, l’evaporazione della legalità affidata e perpetrata da “Ghedini Stranamore”, tutto fila e torna nel suo argomentare. Fini insomma descrive la destra berlusconiana e di Bossi, quella della B2 ma soprattutto quella della gente educata e convinta a farsi solo ed esclusivamente i “fatti suoi”. Senza regole, senza doveri. Perfino senza pudori. Ma l’altra destra, un’altra destra c’è, è possibile in Italia?

Se c’era, perché si è fatta ingoiare dal berlusconismo? Perché Fini ha atteso anni e anni per cominciare a cercare e costruire la destra repubblicana, costituzionale, della legalità, dell’equità e della solidarietà? Certo, una destra così c’è in Francia, Germania e Gran Bretagna e non solo lì. Ma questo non significa possa esserci in Italia, paese che appare invece incline ad avere, e ad amare “berlusconismi” di destra e di sinistra. E se questa destra sociale e legale c’è, la sua “culla” potrà essere un governo Berlusconi lungo altri tre anni? Insomma, per dirla tutta, in un paese che fugge il riformismo vero come la peste, può esistere un riformismo vero di destra, può avere consenso di massa?

Consenso di massa il riformismo vero non ce l’ha neanche a sinistra. Come buon ultimo ma non inutilmente scrive Chiamparino, la sinistra è in Italia lo schieramento del conservare quello che c’è, buono, mediocre o pessimo che sia. Ogni volta che un partito di sinistra prova a cambiare l’esistente la sua base sociale gli si rivolta contro, nella scuola, nel pubblico impiego, nella spesa pubblica. Consenso il riformismo a destra non l’ha mai avuto: la base sociale forzaleghista per “riforma” intende il soddisfacimento immediato e pieno del diritto di giornata e di casa. E allora che speranza ha Fini? Scarsa, scarsissima. E non perché gli mancherebbero i voti. Con un cinque/sei per cento alle elezioni potrebbe bloccare e contare molto. L’esempio lo ha fatto lui stesso: “Nella Commissione bicamerale, tra i 30 parlamentari commissari che dovranno definire le cifre, i soldi del federalismo, 15 della maggioranza e 15 dell’opposizione, il nostro Baldassarri potrebbe decidere…”. Ma con il cinque o anche il dieci per cento dei voti non si ha la base di consenso per fare le riforme, neanche quelle di destra.

Che esista una destra di popolo, di massa e di gente come quella evocata da Fini è la condizione per la modernità sempre rimandata di questo paese. Condizione impossibile o quasi. Condizione che se Fini la trasforma miracolosamente in realtà, fa un regalo a tutti gli italiani. Ma la “missione” di trovarla e costruirla quella destra è solo e soltanto della destra, del suo popolo e della sua gente. Per questo rispondo al mio amico: non possiamo dirci finiani, un po’ per estraneità alla missione, alla “loro” speranza. E molto per disperazione. Se saranno elezioni, ed elezioni sembra saranno, sarà la B2 contro la Strana Alleanza, Berlusconi e Bossi contro Di Pietro e Vendola con al traino una stramba Unione. Spazio per la gente del “giusto prima dell’utile” pari a zero.

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Mino Fuccillo