Bandiera bigotta la trionferà: gonna corta e al vento scomunicata a sinistra

Il manifesto contestato

ROMA –”Non è stato ancora recepito che è ora che il corpo delle donne non venga più usato per vendere qualsiasi cosa. Se ad un uomo fanno volare la cravatta perché alle donne gli fanno volare la gonna? Vorremmo che fosse interrotta una coazione all’uso strumentale delle donne”, firmato  comitato “Se Non Ora Quando”. Ora, a parte il fatto che ad un uomo oltre alla cravatta ed il cappello è difficile far volare altro, mentre alle donne è facile che voli la gonna, questione fisica e non di scelte, qual è il motivo del contendere, il motivo di cotanta indignazione da parte delle donne che il 13 febbraio scorso sono scese in piazza per chiedere dignità per la donna dopo l’esplosione del caso Ruby e del Bunga Bunga? Un manifesto. Del Pd.

Un manifesto che, ad onor di cronaca, appare abbastanza casto. Nell’immagine usata dal partito democratico per pubblicizzare la prossima festa dell’Unità romana si vedono le gambe di una ragazza. Vergogna!? Scandalo!? Della ragazza in questione si vede solo la metà inferiore del corpo:  scarpe, rosse, ballerine verosimilmente, quindi rigorosamente senza tacco che “fa brutto”, sino alla gonna. Gonna probabilmente troppo corta per il giudizio del comitato, è infatti una minigonna rossa che la più classica delle folate di vento solleva ma, a mettere al sicuro la virtù della ragazza, ci pensano le mani della stessa che pudicamente tengono ferma la gonna ribelle. Slogan in sovrimpressione “Cambia il vento”. Il gioco è ovviamente tra il vento di cambiamento che ha soffiato sulle ultime tornate elettorali e il vento che agita la gonna. Ma l’immagine scelta è, secondo le indignate, sessista, mercifica il corpo femminile, retaggio di un antico e mai morto maschilismo e va ritirato “per rispetto verso milioni di italiane il cui voto è stato fondamentale nelle amministrative e nei referendum”. Fatto salvo il diritto di essere di qualsiasi opinione, questa posizione, più che alla difesa dei diritti somiglia ad un rinascente e mai del tutto tramontato bigottismo di sinistra. Pochi ricordano ancora le esitazioni della sinistra sulla legalizzazione del divorzio e ancor meno ricordano che la sinistra ai tempi dichiarò guerra alla pubblicità tout court come “oppio del mercato”. Tempi andati, ma non proprio andati.

“Vivevo in un tempo in cui se al ristorante il cameriere ti rovesciava qualcosa sul vestito, il proprietario si affrettava a cercare di pagare la tintoria e ti offriva la cena. E dove nessuno pensava, né avventore né titolare, alla possibilità di una causa milionaria per danni alla persona e alla sua autostima…”. Citando a memoria, e quindi con probabili errori, un passaggio del libro La versione di Barney che descrive un’ America ormai scomparsa, si comprende quello che manca in questa storia alle donne del comitato: il senso della misura. La dignità, della donna come dell’essere umano in generale, è un valore da condividere, difendere e rivendicare.

Esiste però un limite, un punto oltre cui la difesa del diritto diviene risibile e si trasforma in altro. E’ giusto, anzi sacrosanto, rivendicare la propria dignità all’indomani del Bunga Bunga, è giusto lottare ed indignarsi per le modelle anoressiche, è giusto combattere perché le donne abbiano pari diritti nei luoghi di lavoro e gli uomini gli stessi doveri in altri campi. Ma indignarsi e sentirsi offese per un manifesto come quello del Pd è come se gli uomini si indignassero per il Beckham di turno che a torso nudo pubblicizza il profumo. Ridicolo. Ed è oltretutto un danno per lo stesso comitato “Se Non Ora Quando”, meritevole di aver dato vita ad una grande manifestazione di piazza per rivendicare la dignità femminile di fronte ad un presidente del consiglio che, stando all’accusa, si intratteneva con ragazze a pagamento, talvolta minorenni, vestendole da poliziotte o infermiere per farle ballare sul palo. Criticare il manifesto del Pd è una evidente diminutio del proprio orizzonte di lotta. E’, si passi l’ironia, ” bigottismo democratico”. Le gambe della donna non vanno bene, e allora nemmeno quelle dell’uomo, e allora nelle foto e nelle pubblicità gonna lunga per lei e completo grigio per lui e così via. La dignità? Una volta a sinistra gridavano che non si misura sull’orlo di una gonna, a sostenere che la gonna lunga, composta e non svolazzante era la prova della donna integra erano le suore nei collegi. Altri tempi, ora è il tempo del “Bandiera bigotta…la trionferà”.

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Emiliano Condò