Fiducia doveva essere e fiducia è stata. Il governo di Silvio Berlusconi ha ottenuto il via libera alla Camera dei deputati con 342 voti a favore, 275 contrari e 3 astenuti.
Il primo dato politico che salta agli occhi è che Berlusconi, per tenere in piedi il suo governo, ha bisogno dei 34 voti di Futuro e Libertà. La maggioranza è infatti di 316 e se ai 342 voti a favore dell’esecutivo si dovessero togliere i 34 finiani, Berlusconi cadrebbe.
Il presidente del Consiglio i suoi conti se li era già fatti prima di questa mattina: senza Fini stimava di arrivare a 309, alla fine ne ha ottenuti 308 perchè Fabio Granata, in dissenso dalle indicazioni di Futuro e Libertà, ha votato no. Se a monte l’operazione fiducia voleva essere un avvertimento a Fini e ai suoi e un modo per dire “possiamo governare senza di voi”, allora l’operazione è fallita. Non bastava e si sapeva, lo strappo dei cinque centristi dissidenti. Non bastava neppure l’apertura dell’ex Api Massimo Calearo che dopo una giornata di turbamenti e dubbi amletici, quando ha capito che il suo voto non spostava nulla si è astenuto.
Di sicuro l’esito del voto non soddisfa Umberto Bossi che lo ha detto senza mezzi termini: “Numeri limitati, la strada è stretta”. Che è un po’ come ribadire un concetto che il Senatur ha portato avanti per tutta l’estate, fino al richiamo di Berlusconi: “Prima si vota e meglio è”.
La fiducia odierna apre per il governo una fase diversa: non è solo una questione di numeri, è una questione di prassi. In qualche modo il Parlamento da oggi pomeriggio conta un po’ di più. Berlusconi, dopo aver fatto un discorso “da colomba” evitando ogni passaggio troppo sgradito a Fini, ha accettato che venissero votate quattro risoluzioni, identiche nel testo ma diverse nei firmatari. La prima era del Pdl, a nome Fabrizio Cicchitto, la seconda, leghista, a nome Reguzzoni. La terza, a firma congiunta è stata presentata da Italo Bocchino (Fli) e Carmelo Lo Monte (Mpa) e l’ultima da Noi Sud.
Quattro risoluzioni identiche sono un avvertimento: non c’è più il granitico duopolio Pdl Lega: adesso ci sono i finiani e gli uomini di Lombardo con cui fare i conti. Ogni decisione sensibile dovrà passare al vaglio loro e del Parlamento. Una situazione che non può fare contento quel Berlusconi che ama modi spicci e vive il confronto parlamentare come una sostanziale perdita di tempo. I numeri, però, sono là a dire che o si fa così oppure si va a casa. E non per gli strepiti di Antonio Di Pietro o per gli inviti più pacati di Pierluigi Bersani, semplicemente perchè senza Fini o Lombardo Berlusconi non può governare.