Massimo D’Alema è più sprezzante che mai, ma difficilmente gli si può dare torto. Il fatto che porti, in buona compagnia, alcune delle peggiori colpe politiche dell’ultimo ventennio non deve fare velo sul giudizio sulla sua intelligenza.
Non bisogna mai dimenticare che D’Alema rinunciò deliberatamente a dare il colpo di grazia a Berlusconi dopo le elezioni che portarono, a metà anni ’90, al primo governo Prodi, inseguendo una riforma elettorale che avrebbe probabilmente eliminato Rifondazione e i rompiscatole a sinistra dell’ex Pci (ahi ahi il vizietto dei comunisti). Non inseguì Berlusconi sul terreno del conflitto di interesse, gli lasciò fare quello che voleva con la pubblicità e anzi diede il bollo di garanzia della sinistra a Mediaset dichiarandola patrimonio di tutta l’Italia, poco meno del Colosseo o del Duomo di Milano.
Parlare, però, è più facile che agire e soprattutto, come si diceva una volta, le parole volano. Sentiamo cosa dice oggi D’Alema di Di Pietro: l’Idv ”è un partito del cavolo. Loro la vera opposizione. Figuriamoci. E qualcuno gli dà pure corda”. Ma chi fornì a Di Pietro la base per debuttare in politica, con un seggio sicuro in Mugello, Toscana? La risposta è ovvia: D’Alema. Obiezione: se non lo avesse fatto lui, lo avrebbe fatto Berlusconi. Replica: meglio sarebbe stato, perché oggi Di Pietro morderebbe i garretti a quelli della destra e non allo squinternato Pd.
Non gli si può invece dare torto quando dice disgustato a Repubblica che il Parlamento ha raggiunto un ”degrado mai visto nella storia della Repubblica”, con ”deputati comprati, nascosti dietro le tende fino all’ultimo per proteggere la vergogna di un voltafaccia”.
Però dimentica di includere nel degrado il comportamento pubblico del presidente della Camera, Gianfranco Fini, che ha trasformato una carica super partes in un ruolo tribunizio. Non era mai capitato nella storia della Repubblica italiana. Irene Pivetti, che negli anni successivi condusse talk show televisivi non proprio definibili chic e ormai ci è più nota come catwoman, quando occupò la poltrona di presidente della Camera, benché messa lì da un Bossi eversivo in canottiera, si comportò con una dignità ineccepibile.
D’Alema invece difende Fini: ”Ha fatto una battaglia vera contro Berlusconi. Gli va dato atto. Certo, non ha né i soldi né il potere di Berlusconi”.
Anzi va oltre, affermando che la critica sul governo di responsabilità istituzionale e sul dialogo con Fini e Casini è ”roba da mentecatti. Nessuno nel Pd è così stupido da poter sollevare questa obiezione. Cosa dovevamo fare? Votare la fiducia a Berlusconi per non fare sponda con Fli e Udc?”.
Di più: “La prospettiva di un’alleanza con Fini e Casini” per un esecutivo di transizione ”resta in piedi, il voto a Montecitorio non la esclude”.
Capito perché, come ha detto Nando Pagnoncelli martedì sera a Ballarò, Berlusconi alla fine resisterà? L’hanno definita mancanza di alternative.