ROMA – Il passaggio dall’analogico al digitale terrestre avrebbe dovuto garantire pluralismo, fine del duopolio Rai-Mediaset, apertura del mercato televisivo italiano, oltre a una serie di miglioramenti tecnici che poi in realtà si sono verificati inesistenti. La realtà però è ben altra, niente pluralismo, Rai e Mediaset che continueranno a farla da padroni con la conseguenza di un mercato televisivo chiuso a doppia mandata. Il nodo fondamentale infatti è quello delle frequenze, l’oro tecnico del business catodico.
Le regole della gara che il Governo ha steso per l’assegnazione di sei nuovi multiplex, ossia le super-frequenze digitali in grado di trasportare fino a sei canali televisivi, sono infatti un enorme regalo per i canali di Silvio Berlusconi e la tv di Stato. Il piano preparato dal ministro per lo Sviluppo economico Paolo Romani è già pronto sul tavolo del commissario europeo per la Concorrenza Joaquin Almunia, in attesa di essere valutato prima del via libera alla gara.
Il Fatto Quotidiano è riuscito a leggere la bozza e ne riferisce in un pezzo firmato da Matteo Cavallito e Lorenzo Galeazzi. Le regole che il governo ha steso per l’assegnazione delle nuove frequenze vanno tutte a vantaggio di Rai e Mediaset, Berlusconi quindi ancora una volta favorito e soprattutto ancora una volta una mossa che sa tanto di un’operazione di salvataggio per aiutare Rete4, già aiutata dalla legge Gasparri. Eppure sulla “televisione del futuro” l’Unione europea aveva parlato chiaro. Il passaggio al digitale, che moltiplica canali e offerta televisiva, doveva essere fatto in nome del pluralismo dell’informazione e del libero mercato nel campo dei media, così come è accaduto in America e negli altri paesi Ue.
Ma quali sono i veri propositi del governo contenuti nella bozza? Divisione in lotti delle frequenze da assegnare, meccanismi per racimolare i punti preziosi per scalare la graduatoria, scelta da un “concorso di bellezza” (beauty contest) invece che da un’asta competitiva, il tutto organizzato ad hoc affinché Rai e Mediaset tornino a casa con un multiplex in più rispetto a quelli che già posseggono, naturalmente a discapito delle tv locali e delle nuove realtà che vorrebbero entrare nel mercato televisivo italiano.
Ma cos’è di preciso il beauty contest? Una mossa che non fa altro che far aumentare le frequenze a che già ne ha di più. Il Governo prevede infatti che ai concorrenti venga assegnato un punteggio in base a una serie di requisiti tecnici e commerciali. Che, dal numero di dipendenti al possesso di impianti per la trasmissione in chiaro, prediligono chi ha già maturato esperienza nelle reti televisive, Rai e Mediaset su tutte quindi. La graduatoria verrà inoltre divisa in base ai tre lotti di frequenze (A, B e C) che verranno messi all’asta. Ed eccoci quindi alla seconda mossa: se la prima tranche (tre frequenze in palio) è riservata solo ai nuovi entranti, alla seconda (che assegna due segnali) potranno partecipare anche Rai e Mediaset. E visti i criteri è praticamente ovvio che entrambe riusciranno a mettere le mani almeno su una ricchissima frequenza.
A questo punto tutto sembrerebbe già scritto, Rai e Mediaset si arricchiscono di frequenze, più canali, più offerte, più duopolio. L’unica realtà che forse può giocarsela alla pari è Sky Italia. Sia come offerta culturale che come infrastruttura tecnica. Contro la tv di Tom Mockridge , il ministro Romani aveva ingaggiato una battaglia legale per tenerla fuori dalla partita. Ci è voluto un intervento del consiglio di Stato che lo scorso 10 febbraio ha bollato come “manipolativo” il comportamento dell’esecutivo, riammettendo la televisione satellitare alla corsa per l’assegnazione di un segnale digitale. I vari Espresso, Telecom (che già posseggono dei multiplex), Rcs, De Agostini, Liberty Media e Discovery dovranno accontentarsi di spartirsi quello che resta: tre multiplex più una frequenza “meno pregiata”. Se la Commissione europea darà il suo via libera, ad agosto, il ministero dello Sviluppo economico pubblicherà il disciplinare di gara, per poi verso novembre o dicembre indire l’asta, che stando ad oggi non sarà che una pura formalità.
Oltre al succulento mercato delle frequenze, c’è un’altra questione, stavolta più politica e meno tecnica, una questione che riguarda da vicino Berlusconi, la Corte Costituzionale e il loro rapporto al veleno, specie se si tocca un argomento tanto caro al premier come appunto Mediaset e Rete4 in particolare. Berlusconi cominciò mettendo assieme Canale 5, comprando una serie di tv locali e, all’inizio, mandando a tutte lo stesso programma, registrato in cassetta, con dentro la pubblicità, ovviamente, uguale per tutte. Sola differenza: i programmi venivano trasmessi a orari differenziati di qualche minuto, in modo che per gli inserzionisti la trasmissione degli spot era contestuale. Poi il cambiamento: via le cassette, dentro un grande network a frequenze unificate e ponti radio (Adriano Galliani fu fondamentale in questo: girò l’Italia col padre e impiantò antenne su montagne, colline e cocuzzoli).
Berlusconi si rafforza, subentra a Rusconi, che getta la spugna su Italia 1, salva la Mondadori comprando Rete4 che la stava facendo fallire. Poi cerca di annettersi Repubblica, con un colpo di mano che ha le radici nel mistero, e lì cominciano i suoi guai con la giustizia e con la Corte costituzionale. Mentre le leggi (Mammì, Maccanico) si susseguono, la Corte resta abbastanza coerente con i suoi principi: bisogna tutelare il pluralismo, tre reti nazionali, su dodici disponibili in Italia, sono troppe, Rai 3 e Rete 4 devono andare sul satellite. Da questa posizione la Corte non si è mai mossa. Poi la “svolta”, anzi, una teoria: il digitale terrestre fa venire meno i timori della Corte, perché i canali disponibili diventano centinaia, moltiplicando le frequenze che prima erano limitate, perché ciascuna frequenza si moltiplica quasi all’infinito.
L’avvento della nuova era è sancito da una nuova legge, la Gasparri, che scommette sulla trasformazione dell’Italia in un paese digitale, come già accade in altri paesi europei. Le cose però non vanno tutte dritte, ci sono delle grane per i decoder, Gasparri è sostituito da Paolo Gentiloni quando la sinistra va al governo con Romano Prodi e Gentiloni sposta di quattro anni la data di avvento del digitale terrestre. Berlusconi qui comincia a tremare. Il rischio che la Corte si accorga dei problemi dei digitale terrestre e lo metta in mora è forte. Fortuna che Prodi dura poco e Berlusconi torna a palazzo Chigi e fra i primi atti del nuovo Governo c’è proprio l’anticipare la scadenza del digitale terrestre. Ora che la Corte Costituzionale è tornata a stargli col fiato sul collo Berlusconi è di nuovo all’opera per ampliare offerte, frequenze, canali, servizi… salvare Rete4.