Quando Silvio Berlusconi dice o fa qualcosa, tutti pensano che lui dica e faccia come uno normale. Questo è l’errore che hanno nel tempo commesso i suoi avversari, concorrenti editori prima, rivali e compagni di cordata politici dopo. Per fortuna Berlusconi non è perfettissimo, ma solo perfetto, fa anche lui degli errori e li paga cari.
Quando però Berlusconi dice o fa qualcosa, chi è interessato al fenomeno deve sforzarsi di pensare non in termini convenzionali, né secondo la razionalità banale del comune mortale. Deve sforzarsi di pensare secondo la logica complessa e articolata su ripetuti salti mortali, che lo hanno portato, insieme con altre doti meno encomiabili, a costruire una delle prime imprese italiane e a riciclarsi politico, all’età di 58 anni, quando la maggior parte di noi fa i conti per la pensione, diventando d’amblé primo ministro.
Altra cosa che uno deve avere sempre presente, quando pensa a Berlusconi, è la sua stella polare, costituita dalle sue tre tv. Tutto il resto è in funzione delle sue creature, anche l’impegno politico, cui è stato costretto per salvarle dalle fauci di una belva feroce che lui vedeva e vede pelosa, irsuta e con gigantesche falce e martello incrociate e rosse sulla fronte.
Questi due criteri di interpretazione devono essere presenti a chi avesse voglia di chiedersi perché da un po’ di mesi Berlusconi è ossessionato dalla Costituzione della Repubblica italiana. Si comincia ai tempi del lodo Alfano, con una polemica che provocò aspre reazioni da parte della Corte. Era settembre del 2009, sono passati dieci mesi, ora si riparte.
Esordio dei nuovi attacchi la platea dei commercianti riuniti in assemblea: governare con questa Costituzione catto-comunista è un inferno. Ovviamente ha riscosso una marea di applausi, da un uditorio che per sua natura odia le leggi, figlie di quella Costituzione, specie quelle sugli scontrini fiscali e sui contributi ai dipendenti, che odia i neri ma vede nel nero il suo colore preferito.
Infine la progettata riforma della Costituzione, modificando gli articoli 41 e 118, per ragioni che onestamente sfuggono, al di là degli slogan, che se fossero giudicati dal giurì sulla pubblicità sarebbero bocciati.
Per capire bisogna avere presenti tre cose: la Costituzione contiene un articolo, il numero 21, che garantisce a tutti la libertà di manifestazione del pensiero, in apparenza liberalissimo ma in realtà usato, esattamente da mezzo secolo, da quella comunistissima Corte costituzionale per bloccare prima la nascita e limitare dopo la concentrazione in poche mani della televisione privata.
Ora attenzione alle fasi. Nel 1960 la Corte costituzionale nega al quotidiano romano il Tempo il diritto a possedere una sua rete, Tempo Tv. Ci sono troppo poche frequenze, sostiene la Corte, e quindi non esistono le condizioni per un vero e proprio mercato, come è nel caso della carta stampata, dove giocano sì capitali e capacità, ma immenso è il territorio da conquistare, come dimostrano Repubblica e, in misura minore, il Giornale.