Le frequenze radio e tv assegnate all’Italia sono poche, troppo poche, non sufficienti a garantire, almeno in potenza, un vero pluralismo. Così paradossalmente l’articolo 21 della Costituzione, che garantisce libertà a tutti, viene usato per impedire la libertà di troppo pochi. Principio sacrosanto, ancor più valido alla luce di quel che è successo nei decenni seguenti, che ci ha portato a un duopolio aiutato e favorito per miopia anche da molti di quelli che oggi strillano e gridano al lupo.
Arriva la rivoluzione del ’68 e seguenti, nascono le radio libere, nascono le prime tv private, via cavo. Sono gli anni del boom dell’edilizia, si costruiscono città satellite come Milano 2, che sono a casa del diavolo e gli imprenditori che le realizzano vogliono renderle più attraenti, non solo con giardinetti e ville a schiera ma anche con una televisione che spezzi il grigio monopolio della Rai, che proietta un film alla settimana, vecchio di almeno due anni e mette le mutande lunghe alle ballerine.
Sono i giorni eccitantissimi di Telebiella. La situazione precipita e la Corte costituzionale riconosce la possibilità di radio e tv private, ma solo in ambito locale. Il pensiero dominante è sempre la mancanza di pluralismo.
Entra in scena Berlusconi, uno di quegli edili lombardi che ha pensato alla tv per vendere le sue case e che, genio fin da giovane, ha subito capito l’enorme potenziale del mezzo. E comincia il suo solito gioco che, nel linguaggio della cavalleria, è di buttare il cuore oltre l’ostacolo, mentre nel linguaggio della gente normale è violare sistematicamente la legge e poi ottenere la sanatoria.
Berlusconi comincia mettendo assieme Canale 5, comprando una serie di tv locali e, all’inizio, mandando a tutte lo stesso programma, registrato in cassetta, con dentro la pubblicità, ovviamente, uguale per tutte. Sola differenza: i programmi venivano trasmessi a orari differenziati di qualche minuto, in modo che per gli inserzionisti la trasmissione degli spot era contestuale, per i carabinieri era rigorosamente locale. Poi la spallata: via le cassette, facciamo un grande network a frequenze unificate e ponti radio (Adriano Galliani fecit), lo stop da parte di un giudice di Novara, Craxi che minaccia la crisi di governo, il decreto legge che salva Berlusconi. Sembra preistoria, sono passati solo trent’anni. Berlusconi si rafforza, subentra a Rusconi, che getta la spugna su Italia 1, salva la Mondadori comprando Rete4 che la stava facendo fallire.
Poi cerca di annettersi Repubblica, con un colpo di mano che ha le radici nel mistero, e lì cominciano i suoi guai con la giustizia e con la Corte costituzionale. Mentre le leggi (Mammì, Maccanico) si susseguono, la Corte resta abbastanza coerente con i suoi principi: bisogna tutelare il pluralismo, tre reti nazionali, su dodici disponibili in Italia, sono troppe, Rai 3 e Rete 4 devono andare sul satellite.