Qual è l’obiettivo, il traguardo, la richiesta, addirittura il sogno di tutte, quasi tutte, le opposizioni e gli oppositori di Berlusconi? Cosa immaginano, preparano, propongono, a cosa lavorano Bersani e D’Alema, Casini e perfino, come da ultimissimo blog, Beppe Grillo? E cosa i berlusconiani e i leghisti, i Bossi, i Calderoli, i Cicchitto, i Bondi, i La Russa, i Gasparri dipingono come il diavolo, la sciagura, l’invasione degli ultracorpi cui opporre un virile e drastico “no pasaran”? Eccola la meta agognata e la minaccia da respingere e sventare: il “Governo di transizione”. Cioè un governo che porti, accompagni l’Italia ad elezioni anticipate e che sia guidato e presieduto da qualcuno che non sia Berlusconi. Viene in mente quell’antico detto: prega che gli dèi non esauriscano i tuoi desideri…
Elezioni precedute da qualche mese di governo con seduto a Palazzo Chigi un altro che non sia Berlusconi sono infatti per Berlusconi l’equivalente di un poker d’assi nella partita politica appena iniziata. E gli assi nelle mani di Berlusconi arriverebbero con il “Governo di Transizione” mentre sono i suoi avversari a dare apparentemente le carte.
Primo asso, quello “pigliatutto”. Se l’Italia torna a votare con Berlusconi presidente del Consiglio in carica, il messaggio elettorale di Berlusconi dovrà essere: “Non mi hanno lasciato lavorare, mi hanno legato le mani”. Variante più hard: “Mi hanno tradito”. Può funzionare, ma è messaggio debole. Appena due anni fa Berlusconi era e si diceva capace di spaccare il mondo e rifare i connotati all’Italia. Appena due anni e mezzo dopo dovrebbe chiedere voti in nome di un’occasione mancata, perduta. Chiedere voti solo per ricominciare. Senza aver abbassato le tasse, senza aver cambiato la Costituzione, con le ali alquanto impiombate da una manovra economica, forse due. Se invece si va ad elezioni con qualcun altro seduto a Palazzo Chigi, la piattaforma elettorale di Berlusconi sarà: “Scippo e impostura contro il popolo sovrano…Congiura per mettere in piedi un governo illegale…”. Qualcosa di molto più efficace e soprattutto qualcosa che azzera, cancella il magro bilancio dei due anni di governo. Il “Governo di Transizione” regala a Berlusconi una campagna elettorale da una posizione di “opposizione”, quella che oggi gli elettorati europei maggiormente premiano. Il “Governo di Transizione” esenta Berlusconi dal dazio di aver governato e monda ogni suo peccato politico agli occhi del maggioritario elettorato di centro destra.
Asso numero due: il “Governo di Transizione” dovrebbe intestarsi il rischio e il costo economico di elezioni anticipate. Costo non delle schede da stampare, costo finanziario. Con centinaia di miliardi di titoli di Stato da ricollocare sul mercato, insomma da vendere a qualcuno che della finanza pubblica italiana si fida, il rischio di un aumento dei tassi è quasi una certezza. Rischio che si paga con tasse o inflazione. Tasse e inflazione che l’elettorato metterebbe in conto a quelli che hanno “usurpato” il posto di Berlusconi.
Asso numero tre: il “Governo di Transizione” erediterebbe da Berlusconi la promessa fatta a Bossi di un federalismo tutto e subito. Senza seria valutazione di spesa, con annesso malcontento del Sud. Problema oggi di Berlusconi, domani del “Governo di Transizione”.
Asso numero quattro: il “Governo di Transizione” chi lo vota in Parlamento? I finiani? Ufficializzando così una natura di “ribaltonisti traditori” che vanno al governo senza passare dalla stazione del voto popolare? Di Pietro e Vendola che invece se ne terrebbero il più distanti possibile? Il “Governo di Transizione” scivolerebbe rapidamente, inesorabilmente verso l’immagine e la sostanza di una brutta copia del secondo governo Prodi: la rappresentazione plastica che la somma dei “No” a Berlusconi non fa un governo.
Perché allora l’opposizione vuole il “Governo di Transizione”? La mancanza di fantasia e creatività politica di quelle che furono le terze file del Pci e le quarte file della Dc è una prima, piccola, parziale ma non trascurabile risposta al quesito. Poi c’è la furbizia stolta di chi calcola che Berlusconi non più premier non è più protetto da “legittimi impedimenti” e quindi processabile. Ancora e sempre l’illusione nefasta di una via giudiziaria. Poi la paura delle elezioni.
Hanno allora dal loro punto di vista ragione Di Pietro e Vendola che le elezioni le vogliono subito? A parte che subito vuol dire primavera 2011, Di Pietro e Vendola vogliono sì elezioni ma di provare almeno a vincerle non hanno alcuna voglia. A meno che “vincerle” non voglia dire aumentare la percentuale di voti a Idv e Sinistra, ecologia e libertà restando ovviamente sconfitti all’opposizione. Già, perché volere le elezioni senza cambiare la geografia della proposta elettorale vuol dire farle rivincere a Berlusconi. A un Berlusconi che le vincerebbe esplicitamente contro la Costituzione vigente. Ottima prestazione per chi denuncia il “regime in atto”.
Con la legge elettorale che c’è e molto difficilmente sarà cambiata, alle elezioni l’opposizione oggi può andare solo se ci si va in quattro e non di più. Pdl e Lega alleati e dall’altra parte una forte aggregazione “centrista” e una sinistra, una sola. Il Pdl di Berlusconi “vale” nell’urna circa il 35 per cento, la Lega di Bossi il 10 per cento abbondante. Possono perdere solo se la sinistra, una sola, fa 25 e più per cento e il “centro” fa 20 per cento. Non c’è spazio per altre liste, non c’è posto per la “pluralità”. Di Pietro non vuole il “centro”, Vendola vuole la sinistra plurale. Amen.
Lo sa Berlusconi che il “Governo di Transizione” è il suo poker d’assi? Forse no, forse non se ne rende conto perchè è tutt’altro che infallibile. Può dunque incaponirsi a restare premier fino al giorno delle elezioni, può insomma sbagliare lo “scarto” nella partita a poker. Magra e tenue speranza per i suoi avversari. E i suoi avversari sapranno lasciare al tavolo solo due giocatori contro Berlusconi e Bossi? Improbabile, ai limiti dell’impossibile. Con uno strano linguaggio Berlusconi ha detto, a proposito della cacciata di Fini: “I sostenitori di una squadra si disamorano se vedono i giocatori litigare in campo e negli spogliatoi”. Purtroppo non parlava del Milan, ma dell’Italia. Ma prendiamo per buona la sua metafora, la sua cultura calcistica: contro Berlusconi è stato fischiato un fallo da rigore, l’opposizione si appresta a tirarlo fuori dalla porta. Poi palla a centro, ancora zero a zero ma quella di Berlusconi è una squadra, l’altra sono undici che giocano ognuno per conto suo. La partita dura un anno, c’è tempo. Ma se è giocata così, non c’è partita.