Berlusconi va all’incasso di un voto del Parlamento per il “governo dei sette mesi”. Lui non lo dirà che questo è l’orizzonte, ma questo è quel che gli passa il convento della sua maggioranza, oggi divenuta “variabile”, e della sua convenienza. Dicono, dopo l’ultimo vertice del Pdl tenuto a Palazzo Grazioli, che “volerà alto”. Insomma non metterà nel mirino e in croce Gianfranco Fini che durante la seduta alla Camera starà seduto proprio sopra di lui. Accenni sì, frasi che lasciano intendere la disistima politica e personale, peraltro conclamata e ricambiata. Ma attacco diretto quello no. “Volerà alto” e chiederà al Parlamento il voto, anzi i voti per continuare. Non tanto “alto” quanto si è spinto uno dei deputati, uno dei “nuovi sette” che gli diranno Sì. Bruno Cesario, fresco di passaggio dall’Api di Rutelli al Gruppo Misto, cioè dall’opposizione alla maggioranza, ha voluto spiegare chi è stato il suo ispiratore e patrono politico: “Non debbo nulla al Pd che mi ha candidato, semmai a Padre Pio”. Ecco non proprio “Padre Pio”, non il santo di Pietrelcina, ma “Santa Governabilità” sarà quella che terrà la mano sul capo del discorso di Berlusconi.
In nome del diritto e del dovere di governare Berlusconi chiederà al Parlamento di pronunciarsi. Con un voto di fiducia, “per fare chiarezza”. Il grande regalo per il giorno del suo 74° compleanno neanche lui si attende di scartarlo in aula. Il grande regalo, quel che tutto o quasi risolve sarebbe 349 voti a favore, cioè i 316 che fanno maggioranza più i 33 voti dei finiani. Berlusconi non si aspetta di contarne tanti, se così fosse dimostrerebbe la “inutilità” politica e parlamentare di Futuro e Libertà, avrebbe stravinto. Si accontenta di qualcosa di meno Berlusconi, si accontenta di quel che può e oggi si può e cioè di una “maggioranza variabile”. Variabile perché il 29/30 settembre rinforzata appunto dai finiani che voteranno probabilmente Sì, se il discorso del premier non li caccerà all’angolo. Ma il Sì del 29/30 settembre non sarà il Sì di quando in aula o in Commissione dovesse andare il “processo breve”, la legge anti intercettazioni o altro ancora del “programma di Arcore”. E maggioranza “variabile” perchè il 29/30 settembre ci saranno, forse, i voti del Mpa di Lombardo e di sicuro i voti dei cinque deputati siciliani dell’Udc che con Casini non stanno più: Mannino, Romano, Drago, Ruvolo e il quinto, Pisacane, che in realtà siciliano non è ma campano. Voti “sudisti” che andranno sostenuti e riottenuti con moneta contante al Sud. Non proprio facile quando di tratterà di fare il federalismo, fiscale o sanitario che sia. E il 29/30 settembre ci saranno i voti di Cesario e Calearo, eletti con il Pd. Il 29 sì, gli altri giorni pure?
Maggioranza “variabile” che smonta lo scandalo indignato di Pdl e Lega di fronte alla “oscenità” di eletti nel Pdl che votassero un domani contro il governo. Traditori eventuali i finiani e benedetti sulla via di Damasco quelli eletti con l’opposizione che votano per il governo? Ma soprattutto maggioranza variabile che oggi c’è, domani forse e dopodomani chissà, che fonda, inaugura e sostiene il “governo dei sette mesi”. Sette mesi fino ad aprile 2011 quando tutto o quasi tutto dirà: crisi, Camere sciolte ed elezioni anticipate. Lo dirà Bossi che ad allora avrà incassato i decreti delegati sul federalismo e che già oggi scalda l’ambiente elettorale contro i “romani porci” e i “sepolcri imbiancati” e soprattutto giocando di dolce elastico con i suoi sindaci e amministratori che ovunque possono giocano al gioco dei “non italiani ma padani”. Berlusconi ha fatto “la mossa” di rimproverarlo, solo la mossa: ha spiegato ad Alemanno sindaco di Roma che Bossi parlava “come Asterix” ma dovrebbe parlare “come ministro”. Un carezzevole rimprovero.
Dirà a primavera sì alla crisi e quindi ad elezioni perfino Fini: a quel punto avrà il suo partito e sarà per lui il momento del o la va o la spacca. Tre anni nella gabbia della maggioranza di Berlusconi Fini non li regge. Dirà sì alla crisi perfino il Pd, come dovrebbe fare ogni partito di opposizione e come il Pd di fatto non ha fatto finora terrorizzato da elezioni e nascosto dietro l’impossibile schermo di una nuova legge elettorale. Dirà sì alla crisi lo stesso Berlusconi. Oggi lo raccontano spaventato da una possibile astensione di massa dell’elettorato Pdl. Oggi, domani a primavera sarà il momento di rischiare. Perché rischiare nel 2013 è accrescere il rischio di andare alle urne dopo un’intera legislatura “zoppa”. E dirà sì alla crisi soprattutto quella che i cronisti delle partite di calcio chiamano “l’inerzia dell’incontro”. Una maggioranza variabile non fa una legislatura, questo è quello che c’è e che a Berlusconi oggi basta. Ma non ne avanza per tre anni.