Per Israele e per il suo premier Benjamin Netanyahu Silvio Berlusconi è «l’amico più grande».
Il Sogno. E il presidente del Consiglio italiano non manca di dimostrarsi tale. Nel corso della cerimonia che ha aperto la sua visita nel paese ebraico, infatti, il Cavaliere ha detto di avere un sogno: che un giorno Israele possa entrare a far parte dell’Unione europea. E ha sottolineato che si impegnerà sempre per difendere l’esistenza dello Stato di Israele.
Il Cavaliere ha quindi sottolineato: «Siamo qui a testimoniare l’amicizia, la vicinanza, la volontà di collaborazione di due popoli vicini. Abbiamo l’orgoglio di essere noi con la cultura giudaico-cristiana, alla base della civiltà europea».
Difendere lo Stato d’Israele. Berlusconi ha poi chiarito: «C’é ancora oggi chi mette in discussione l’esistenza di Israele. Bene, noi ci opporremo tutti insieme come Comunità internazionale affinché ciò non possa assolutamente mai accadere».
Il presidente del Consiglio ha aggiunto di sapere bene che «il futuro è la principale preoccupazione» di Israele, per cui bisogna avere la «consapevolezza anche del terribile passato» vissuto dagli ebrei «per non tornare mai più a quella indifferenza del mondo che è il più grande male» dell’uomo.
Per questo, ha detto ancora Berlusconi, «vorremmo che tutti insieme potessimo guardare al futuro e far sì che questo futuro sia di prosperità benessere e soprattutto pace per questo popolo».
Haaretz. E proprio per rinsaldare questo legame di amicizia con Israele, Berlusconi alla vigilia del suo viaggio si è concesso in un’intervista al prestigioso quotidiano ‘Haaretz’.
«Io sono stato vittima per molti mesi di una campagna di stampa che è stata probabilmente la più aggressiva e calunniosa di quante ne siano mai state condotte contro un capo di governo», ha raccontato.
«Ho subito aggressioni politiche, mediatiche, giudiziarie, patrimoniali e anche fisiche», ha sottolineato ricordando l’aggressione in piazza Duomo a Milano per la quale Israele non ha fatto mancare solidarietà. Ma poi Berlusconi è tornato al suo lavoro. Ai fatti. E si è dato una nuova e ‘ultima’ missione come politico e uomo di governo: la riduzione delle tasse.
«Gli italiani, che hanno buon senso, mi hanno confermato la loro fiducia che è salita al 68%, una percentuale addirittura imbarazzante per il leader di una democrazia occidentale. Per loro hanno contato i risultati concreti della mia azione di governo, che sono stati tanti e importanti», ha spiegato quando gli è stato chiesto il perché del suo ‘altissimo tasso di popolarità.
«Tutta la mia vita, prima come imprenditore, poi come presidente del Consiglio, è stata improntata all’amore per la libertà», ha esordito il premier, per poi tracciare con il quotidiano israeliano un bilancio della propria carriera di leader.
«Non cambierei nulla di quel che sono riuscito a fare – ha rivendicato – Mi trovo a essere il presidente del Consiglio che ha governato più a lungo nella storia della Repubblica Italiana e quindi ho avuto la possibilità di realizzare molte riforme, dalla scuola all’economia, dalla pubblica amministrazione alle infrastrutture e anche il prestigio dell’Italia sulla scena internazionale è aumentato per i tanti contributi che abbiamo dato alla soluzione di tante situazioni difficili».
«Il mio problema non è il bilancio del passato, che è buono pur con tutti i possibili errori – ha ragionato Berlusconi – Il problema è realizzare il sogno del futuro: uno Stato meno invadente, un cittadino più autonomo, più responsabile, più libero».
Il premier ha battuto dunque ancora una volta il tasto della riduzione della pressione fiscale, dopo i molti annunci e le successive smentite delle ultime settimane.
«Bisogna riuscire a diminuire la pressione fiscale e a portare l’imposta sui redditi a un livello accettabile, che consenta una nuova amicizia leale fra cittadino e Stato», è tornato a dire.
«Questa è la parte finale della mia missione di europeo, di imprenditore e di uomo di governo», ha promesso.
Giulietti. Intanto, dall’Italia, il deputato di centrosinistra Beppe Giulietti, contesta l’idea di un premier ‘vittima’ di aggressioni mediatico-giudiziarie: «Si tratta del solito ritornello, ma sarebbe stato opportuno non intonarlo proprio in Israele, dove alte cariche dello Stato sono state costrette alle dimissioni per molto meno. A nessuno di loro per altro è venuto in mente di proporre ai rispettivi parlamenti norme ad personam per tutelare sé stessi e creare ‘illegittimi impedimenti’ al libero esercizio della funzione giudiziaria e del diritto di cronaca».