Legittimo impedimento, udienza alla Consulta: due tesi opposte a confronto

Giovedì 13 gennaio sarà reso noto il verdetto della Corte Costituzionale sul legittimo impedimento. A due giorni dalla sentenza si sprecano congetture, previsioni e auspici più o meno interessati. Ciò che si è capito è che i giudici diranno una parola definitiva sulla legittimità costituzionale dello scudo giudiziario che il premier si è cucito addosso. Stante l’oggettiva difficoltà interpretativa, cerchiamo di capire su cosa i giudici del Palazzo della Consulta si accingono a deliberare.

Riuniti in udienza i magistrati hanno ascoltato i pareri dell’Avvocatura di Stato, difensori della legittimità del provvedimento, e il parere del legale del Comitato per il referendum che si propone di annullare lo stesso legittimo impedimento della quale verrà discussa domani (mercoledì 12 gennaio) l’ammissibilità dagli stessi giudici della Corte Costituzionale.

L’avvocato dello Stato Michele Dipace, intervenuto per conto di Palazzo Chigi, sostiene che la legge sul legittimo impedimento non crea una ”immunità”. La legge 51 del 2010  esclude qualsiasi  ”automatismo e presunzione assoluta di impedimento”. Il giudice – secondo Dipace – ha infatti ”sempre la possibilità’ di verificare l’autenticità’ della provenienza del documento” emesso dalla Presidenza del Consiglio e ”la veridicità dei fatti attestati come impedimento”. Il fatto che non ci sia automatismo, per spiegarci, significa che è fatto salvo il principio costituzionale dell’uguaglianza di fronte alla legge di tutti i cittadini. L’impedimento è legittimo rispetto alla funzione esercitata.

L’altra campana. Alessandro Pace, legale del Comitato per il referendum, si dice non convinto dalle ragione addotte dalla difesa. Ci sono in questa legge ”delle presunzioni assolute contrarie alla stessa ratio del legittimo impedimento che deve essere invece accertato di volta in volta”. Secondo l’ex presidente dell’associazione costituzionalisti, il legittimo impedimento ”serve per tutelare il diritto di difesa che è una garanzia già prevista dall’articolo 420-ter del codice di procedura penale, senza il bisogno di nessun aggiunta. La Cassazione ha ritenuto più volte che il 420-ter si applica anche al presidente del Consiglio e ai ministri, quindi a tutti gli imputati, anche membri del governo.” Anche qui, per spiegarci meglio: una norma in più, ad hoc per giunta, prefigurerebbe quell’automatismo che vanifica il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.

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Warsamé Dini Casali