ROMA – Dal Mussolini delle “cose buone” resuscitato da Berlusconi, al Monti “guidatore” al quale Barbara Spinelli rimproverava di non aver mai nominato la parola democrazia nella sua famosa Agenda, è forse il principio una testa un voto che, a forza di scossoni, rischia di non avere più cittadinanza? Al di là dei proclami e delle battute tipiche di ogni campagna elettorale (ognuno ha il suo stile), il vecchio politico Berlusconi (76 anni, un ventennio da protagonista) e lo statista neofita Monti, sembrano sedere entrambi agli estremi di un teorico arco democratico, precisamente dal lato dove la democrazia si impantana nella palude dei populismi, dall’altro nel punto dove la democrazia stessa è esautorata, commissariata da qualche elite autonominatasi reggente per manifesta superiorità. In mezzo, l’implosione del sistema dei partiti, i quali dalla fine del regime mussoliniano hanno rappresentato e garantito il veicolo con cui la democrazia italiana (sia pur bloccata per 40 anni) si è realizzata.
Nel più ampio dibattito sul tramonto della democrazia in Occidente, minacciata dalla crisi economica e impoverita dalla cessione di pezzi di sovranità nazionale alla governance europea (non eletta, non legittimata), le due figure agli antipodi come l’Unto dal Signore e il Tecnico acquistano rilevanza proprio nella reciproca opposizione, tanto più che sono impegnati a pescare nello stesso bacino elettorale. Due insofferenze, speculari, nei confronti del popolo bue, al quale il primo si rivolge blandendolo e lisciandogli il pelo, l’altro lo snobba invitandolo a lasciar fare alle elite, a chi se ne intende, a chi maneggia una tecnica.
Il “Mussolini fece anche cose buone” di Berlusconi non certifica un suo fascismo latente che ogni tanto riaffiora: il Cavaliere è un “democratico riluttante”, poco aduso alla complessità dei fatti storici, più interessato a mostrarsi in sintonia con gli umori della “gente”, della quale peraltro ha una pessima opinione giudicandola, come giudica il teleutente medio, un ragazzino che a mala pena ha frequentato le medie e pure dagli ultimi banchi. Tutto lo divide dal Professor Monti, il quale, dalla torre di avorio della Bocconi pretende di esaudire le istanze di un mondo per il quale la Bocconi è semplicemente un ateneo privato. Una cosa la condividono: gli elettori non capiscono.
In una sua riflessione sulla democrazia (“La democrazia in Europa. Guardare lontano”, Rizzoli, Mario Monti-Silvie Goulard) c’è un passaggio illuminante (o deprimente, dipende dai punti di vista) che riguarda il grado di democraticità auspicabile per esempio nella Commissione Europea o nelle istituzioni dell’Unione Europea. Bersaglio della critica è la democrazia “astratta”. E’ giusto, si chiede Monti, che “in una Unione che si vuole pienamente democratica, il principio ‘una testa, un voto’ deve essere applicato alla lettera?”. Oppure: “Come farebbe una Commissione ‘di sinistra’ ad approvare la politica di un governo socialista senza essere accusata di favoritismo (e viceversa per un governo di destra)?”
Di soppiatto, quasi contrabbandata, si fa strada l’idea che la legittimità del tecnico, del supefunzionario risieda proprio nel suo non essere stato eletto. Si sospetta che la messa in mora della distinzione destra/sinistra, assunta come vecchio arnese di un parlamentarismo fiacco e stremato, serva a bypassare allegramente le fatiche della politica, il valore dell’alternanza. Non si parla al conducente.
“È perché siamo a questo punto che i politici vagano nelle loro trincee come soldati mutilati, e si fanno avanti i Guidatori: banchieri, tecnici, e poteri terzi come i magistrati, e ecclesiastici che da tempo non dovrebbero neanche sfiorare il potere. Al posto della politica, dunque del dividersi costitutivo della democrazia, s’installa la clinica: la tecnica che ci sdraia tutti quanti sul klìne, a letto. La Agende non sono programmi tramutati in proclami, ma bollettini medici.”
Barbara Spinelli, “Quando arrivano i guidatori”, La Repubblica, 2 gennaio 2012