Berlusconi va contro i giudici, Galan si ribella alla Lega e Casini entra, Marino a Bersani e Franceschini: “Ve la cantate e ve la suonate”

 

Marino, Franceschini, Bersani: come veditori di auto usate?

Mentre l’Italia finisce sotto una cappa di freddo e in alcune parti nevica, la vita politica si infiamma al calor bianco.

 

Tre sono i fronti interessati. Il principale è lo scontro istituzionale, fra potere esecutivo e potere giudiziario: non marginali sono il caos che regna nel Partito democratico e la spaccatura che si è aperta nella destra in Veneto.

Lo scontro fra governo e magistratura è il fatto più grave, anche perché non si tratta soltanto di un regolamento di conti tra politica e giudici ma perché il leader del fronte politico, Silvio Berlusconi, collega ad esso un ben più pesante stravolgimento della legalità costituzionale.

Infatti, fino a quando ci si limita alla ricerca di un nuovo equilibrio fra poteri, tutto rientra nella dialettica che si è aperta con la vicenda di “mani pulite”, quindici anni fa.

La spinta da comitato di salute pubblica impressa alla propria azione dalla procura della Repubblica di Milano portò ad episodi difficilmente cancellabili dalla memoria: uomini politici per bene e ancora oggi attori di rilievo in Parlamento trascinati in manette, proclami da parte di quei magistrati in diretta tv contro un perbenissimo ministro e il Governo di cui faceva parte: sono fatti che molti cittadini ricordano con un brivido e certamente il Dna di tutti i partiti ha registrato.

In quel momento, due partiti furono portati a morire, la Dc e il Psi,  e tre nuove forze si affacciarono sul palcoscenico della politica italiana: Forza Italia, di Berlusconi, nato da una riaggregazione di forze di destra (liberali), di centro (democristiani)  e anche di sinistra (socialisti); il Msi, rapidamente ribattezzato An, che già c’era ma ebbe da Berlusconi il suo permesso di soggiorno nell’arco costituzionale; la Lega, che già c’era ma trasse un fortissimo impulso dal disorientamento di quei momenti.

Tocca ora a chi  più di tutti ha beneficiato dell’intervento giudiziario in politica, cioè a Berlusconi, di definire un nuovo equilibrio di forze, o di ristabilire il vecchio, ridimensionando il ruolo e i poteri della magistratura inquirente. Non è un problema ideologico, ma quasi personale per un Berlusconi oggetto di centinaia di inchieste e processi.

Si profila uno scontro istituzionale che può essere devastante, con il ricorso a colpi di mano parlamentari e referendum che Berlusconi ha apertamente annunciato. Difficile oggi dire come si muoveranno le forze dell’opposizione, al di là delle affermazioni rivolte a quelle parti del suo elettorato che più sostengono il primato dei giudici,  sul concreto terreno parlamentare. Nell’opposizione hanno trovato nuova vita anche molti di quelli che patirono della ventata rivoluzionaria.

Preoccupante però è un’altra cosa: la visione in cui Berlusconi avvolge lo scontro con la magistratura e da cui discende il suo approccio a qualunque altro attore della vita pubblica, istituzioni o mezzi di informazione, che lo attacchi o lo contraddica. Berlusconi l’ha cominciato a teorizzare da un po’ di tempo e ormai lo dice in modo aperto: ritiene di essere ricevuto un mandato direttamente dal popolo sovrano” e di essere l’unico a derivare la legittimazione del suo potere in quel modo. Di conseguenza tutto il resto del sistema non ha diritto di porsi in contrapposizione a lui, appunto per mancanza di legittimità, ma per questo deve accettare una posizione subordinata. Berlusconi è troppo intelligente e anche colto per non essere consapevole della gravità delle cose che dice. Ma ha imparato dalla sua ossessione, il Comintern, come si fa, e sa che le fantasie, a forza di ripeterle, possono diventare realtà; e sa, da titano della televisione commerciale in Italia, che, in un gioco di specchi e di illusioni, il virtuale può diventare reale.

Ma, se questi fantasmi prendessero davvero corpo, l’Italia farebbe un salto indietro di due secoli, quando ancora si credeva alla legittimazione divina del potere del re, avendo l’ateo Berlusconi messo il popolo sovrano al posto del Padreterno. Addio alla democrazia occidentale cui tanto del nostro attuale benessere dobbiamo, addio anche comunismo cinese evoluto, dove saggiamente il popolo sovrano lo tengono ben a bada: piomberemmo in una forma di dittatura populista sudamericana, tra Peron e Chavez. I precedenti hanno lasciato dietro di sè una lunga scia di miseria e oppressione.

Lo scontro in Veneto è l’altro grande incubo che tormenta i pensieri di Berlusconi. Notizie trapelate alla fine della settimana davano per definita la candidatura della destra alla presidenza della regione Veneto alle prossime elezioni, a primavera, definita a favore del ministro dell’Agricoltura Luca Zaia, leghista, con l’abbandono da parte di Berlusconi del suo proconsole Giancarlo Galan. Per tutta la primavera e l’estate scorse Berlusconi si era divincolato dall’abbraccio di Umberto Bossi, il quale da mesi rivendicava per la Lega non una ma addirittura tre presidenze regionali. Probabilmente i fatti dell’estate, dallo scandalo delle escort alla sfilacciatura del rapporto con le autorità ecclesiastiche, hanno fatto percepire a Berlusconi una accresciuta debolezza, che si è sommata al livello di suffragi, tutt’altro che adeguato ai suoi disegni di conquista, conseguito alle amministrative dal neonato partito Popolo della libertà. Tutto ciò ha reso ancor più indispensabile il sostegno di Bossi al Governo, ben sapendo Berlusconi, per l’esperienza fatta tre lustri or sono, quando proprio Bossi fece cadere il suo primo governo, che il leader leghista non è un soggetto che si può menare troppo per il naso.

Galan non l’ha presa bene, anche perché, sempre in estate, Berlusconi, facendogli da testimone alle nozze, aveva giurato e spergiurato che mai Galan sarebbe stato tolto di mezzo. Nella crepa si è inserita subito la Udc, che non vedeva l’ora: la conquista di una base territoriale importante e ricca come il Veneto può costituire una valida base di partenza per la realizzazione dei più grandiosi disegni di Pierferdinando Casini e Lorenzo Cesa. Mentre appaiono più roba da convegno e da giornali le varie ipotesi di aggregazioni di centro, di cui si è parlato di recente (Casini, Fini, Montezemolo) e in cui i galli a cantare sarebbero davvero troppi, una alleanza sul terreno, basata su forze complementari e con obiettivi non coincidenti, tra un pezzo di Pdl e la Udc, è qualcosa che può davvero impensierire Berlusconi e togliere alla sua costruzione qualche pietra fondamentale. L’atteggiamento un po’ rodomontesco di Galan non deve ingannare…

Il terzo fuoco che riscalda il gelo di questo fine settimana è costituito dalle primarie del Pd. Nelle scorse settimane se ne sono sentite tante da tanti. Ha di certo ragione Luciano Violante quando dice che alle primarie dovrebbero votare solo gli iscritti, perché in discussione non è il presidente del Consiglio ma il segretario di un partito. Hanno di certo ragione quelli che ritengono l’attuale meccanismo complesso e ridondante. Forse ha anche ragione chi dice che il ballottaggio è un passaggio inutile. Ma lo statuto del partito se lo sono fatto da loro e se ora non lo vogliono più rispettare non depone certo a onore di quel gruppo dirigente che sembra volere suonarsela e cantarsela, anche se a ispirarli sono autorevoli pensatori.

Può anche essere un fastidio dovere venire a patti con un terzo incomodo, ma alla base della democrazia c’è la certezza del diritto. Senza il rispetto delle regole, i nuovi – vecchi dirigenti del Pd rischiano di sembrare dei venditori di macchine usate, piuttosto che degli aspiranti al governo del paese. Ricordate Nixon?

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