ROMA, 6 GIU – Dopo la vittoria alle amministrative, il Pd lancia la sfida riformista per guidare il paese con l'ambizione di diventare ''il primo partito''. Pier Luigi Bersani incassa l'unanimita' della direzione ma davanti alle ''tecniche di sopravvivenza'' del governo, che invece dovrebbe presentarsi ''dimissionario alla verifica'', sprona a non dare per vinta la partita e a non ricadere negli errori del passato. ''Non rifaremo l'Unione, non servono carovane ma rotte decise'', promette il leader Pd che pero' sulla patente di affidabilita' fa andare su tutte le furie Nichi Vendola, poco disposto ad avere ''maestri'' di governabilita'.
Il fantasma del '93 – '94, quando i progressisti vinsero le amministrative ma poi persero rovinosamente le elezioni politiche, aleggia sulla direzione del partito, un timore evocato da Massimo D'Alema per mettere in guardia dall'autosufficienza, da Piero Fassino, da Anna Finocchiaro e pure da Giuseppe Fioroni. Un precedente tanto citato che ad un certo punto, anche scaramanticamente, Rosy Bindi ricorda che nel '93 il Pd non c'era ed ''e' meglio evitare gli automatismi''.
Tutti nel Pd, Bersani in testa, sono convinti che anche se si e' aperta ''una fase nuova'' e il berlusconismo e' al declino, c'e' ancora lavoro da fare per tornare al governo e bisogna evitare il rischio, avverte Dario Franceschini, ''di pensare di avere gia' vinto''. Un impegno che comincia prima di tutto raggiungendo il quorum al referendum, ''traguardo che non si raggiunge da 16 anni ma che e' possibile'', e poi rafforzando programma e alleanze. ''Da qui fino all'assemblea di ottobre – e' la road map del leader Pd – avviamo un confronto stringente con le opposizioni per un patto democratico e sociale''. Un patto che parte ''dalle forze del centrosinistra per un impegnativo e inequivocabile patto di governo''.
L'incubo della rissosita' del governo Prodi e' lo spettro del Pd ma l'insistenza con cui Bersani chiede la serieta' di tutti offende Nichi Vendola. ''Dichiarazioni pelose e meschine, nessuno nel centrosinistra puo' mettersi in cattedra e considerare gli interlocutori come alunni da sottoporre agli esami'', va all'attacco il governatore pugliese convinto che le colpe del passato siano state lavate, come dimostra anche la vittoria a Milano di Giuliano Pisapia. ''Non faccio il maestrino ma serve un patto chiaro e esigibile con il paese, che ci riguarda tutti'', e' il chiarimento di Bersani che in serata basta a Vendola per chiudere la querelle.
Fin qui sul fronte 'sinistro' mentre sul versante Terzo Polo si incarica Massimo D'Alema a provare a dare una scossa. ''La convergenza di elettori moderati e progressisti – e' l'analisi dell'ex premier – si e' largamente realizzata nei ballottaggi, dimostrando che la chimica funziona al di la' delle resistenze, delle debolezze e del terzoforzismo dei gruppi dirigenti del Terzo Polo''. Critiche che pero', respinge al mittente l'Udc, rischiano di ''essere un errore fatale per il Pd come lo e' stato per Berlusconi''.
Se i rapporti con alleati, presenti e futuri, richiede ancora aggiustamenti, sembra tornata la pace dentro il Pd. La minoranza critica dei Modem accantona, dopo la vittoria alle amministrative, richieste di verifiche e congressi e chiede con Walter Veltroni di ''non sprecare grandi possibilita' e creare un'alternativa riformista''. Solo Beppe Fioroni punzecchia, invitando Bersani a diventare candidato premier non per statuto del Pd ma poggiando la vittoria sull'unita'. ''Io ci sono'' non arretra il segretario che oggi ottiene il voto unanime del partito ma, osserva soddisfatto, ''dalle mie posizioni io non mi sono spostato di niente''.
