Case e rogiti, dopo Montecarlo, Arcore. Il finiano Briguglio contro Berlusconi: “Chiarisca in parlamento”

Carmelo Briguglio

Non si placa ma si infiamma ancor di più la polemica dentro il Popolo della Libertà tra finiani e berluscones doc. Dopo l’appartamento di Montecarlo ereditato da Alleanza Nazionale e acquistato in circostanze quanto meno discutibili da Giancarlo Tulliani, “cognato” di Gianfranco Fini, nella bagarre politica finisce ora un’altra casa, la villa berlusconiana di Arcore.

L’escalation di accuse reciproche è inarrestabile, soprattutto dopo le parole del leader della Lega Umberto Bossi, “Siamo nella palude, l’unica possibilità è votare”.

Ora le critiche investono direttamente il presidente del Consiglio: “Silvio Berlusconi, incalza Carmelo Briguglio, deputato di Futuro e Libertà per l’Italia, ha il dovere di dire agli italiani come acquistò la Villa di Arcore dove viveva insieme all’eroe Vittorio Mangano, come riuscì ad assicurarsi per soli 500 milioni di lire questo immobile di 3.500 metri quadri con terreni di circa un milione di metri quadri grazie al ruolo di Cesare Previti prima avvocato della venditrice e subito suo legale e uomo di fiducia”.

Incalza Briguglio: “Fini ha dato risposte precise ed esaurienti sulla casa ereditata da An a Montecarlo. Attendiamo ora che altrettanto faccia il presidente del Consiglio. E dica anche se lui, la sua famiglia, il suo gruppo imprenditoriale fanno ricorso a società offshore con sede in paradisi fiscali e dia tutti i dettagli sugli intrecci fin dall’inizio della sua attività imprenditoriale con finanziarie svizzere. Aspettiamo sue dettagliate ed esaurienti risposte”. “Al punto in cui siamo”, conclude Briguglio, “il primo a dimostrare il massimo della trasparenza deve essere il capo del Governo”.

In realtà, la pensano come Briguglio solo i seguaci di Fini e quelli che in nome dell’opposizione estrema e strenua a Berlusconi non vanno troppo per il sottile nel definire il bene e il male e non considerano la differenza tra violazione della legge civile e penale da una parte e violazione delle norme dell’etica dall’altra. Fini ha dato spiegazioni parziali, che se le avesse date un qualunque mortale a a un qualunque Pm avrebbe giustificato l’arresto immediato, quanto meno per reticenza.

Ma come il bene e il male non sono mai da una parte sola, così la ragione e il torto, il pulito e lo sporco non risiedono e non si annidano in una sola casa. Questo spiega perché a Briguglio risponda, ma solo indirettamente, il portavoce del Pdl Daniele Capezzone: “La stragrande maggioranza degli italiani, spiega, è stufa delle provocazioni degli esponenti finiani, e ancor più della prospettiva di giochi e manovre di palazzo. A questo punto, aggiunge, delle due l’una: o a settembre c’è davvero chiarezza sui punti fondamentali, oppure va restituita la parola agli elettori, subito e senza pasticci”.

Ma Capezzone fa peggio di Fini, perché Fini risponde in modo assai poco credibile, buttandola in fallo laterale, mentre Capezzone cambia proprio discorso e alla domanda “dove vai?” risponde “porto pesci”.

La storia di Villa San Martino. Proprio con la data del 9 agosto il sito del settimanale l’Espresso ripercorre la vicenda della villa di Arcore, con il titolo : “A proposito di case: e questa?”. C’è da chiedersi se Briguglio abbia avuto tempo di documentarsi leggendo l’articolo.

La vicenda venne raccontata per la prima volta sulle pagine dello stesso giornale una decina d’anni fa. Si tratta di una storia intricata, i cui ingredienti sono sesso, omicidi, suicidi, inganni, mafiosi. Tutto inizia nel 1970: il 30 agosto di quell’anno, quasi quarant’anni fa, in un appartamento a Roma, nell’elegante quartiere dei Parioli, il marchese Camillo Casati Stampa uccide la moglie, Anna Fallarino, e il suo ultimo amante, lo studente universitario Massimo Minorenti. Era stato lui stesso a spingere la consorte tra le braccia del giovane, uno dei tantissimi con cui amava guardarla avere rapporti sessuali e anche filmarla. Ma di Minorenti lei si era innamorata. Per questo meritava la morte.

Con la morte dei coniugi Casati Stampa, la figlia Annamaria eredita Villa San Martino, dimora di famiglia. Ha però solo 19 anni, in un’epoca in cui la maggiore età si raggiunge a 21. Le viene così affidato un tutore, l’anziano avvocato e amico di famiglia Giorgio Bergamasco. Insieme con lui, come protutore viene scelto un legale calabrese di appena trentasei anni: Cesare Previti, che poco dopo subentra allo stesso Bergamasco, non appena questi diventa ministro di uno dei tanti governi Andreotti.

Nel frattempo Previti aveva iniziato a lavorare come avvocato anche di Silvio Berlusconi, all’epoca giovane imprenditore edile che aveva già edificato a Brugherio (il quartiere Edilnord) e stava lavorando sul progetto Milano 2 a Segrate: cioè vicinissimo ad Arcore, dove sorgeva, appunto, l’antica residenza della famiglia Casati.

Ecco allora che il giovane legale consiglia al suo cliente di acquistare dalla marchesina, trasferitasi in Brasile, la villa settecentesca. Per quei 3.500 metri quadri di casa, circondate da un parco immenso, scuderie e una biblioteca di oltre 10 mila volumi di cui un terzo antichi, venne pattuita la cifra  di 500 milioni di lire dell’epoca. E non in contanti, bensì in titoli azionari, e neppure di società quotate in Borsa e con pagamento dilazionato.

Un rogito “particolare”. Correva allora l’anno 1974. Oggi quei cinquecento milioni di lire equivarrebbero ad una cifra che oscilla tra i due milioni e 200mila euro e due milioni e settecentomila euro. In ogni caso, molto meno di un quarto del valore reale della proprietà, che all’epoca si aggirava comunque sui due miliardi di lire, tanto che all’inizio degli anni ottanta la proprietà fu valutata garanzia sufficiente ad erogare un prestito di 7,3 miliardi di lire.

La motivazione ufficiale di quel prezzo di vendita fu che per la marchesina quella casa conservava solo brutti ricordi. Fatto sta che in quel 1974, nella biblioteca un tempo frequentata da Benedetto Croce, fanno il loro ingresso Marcello Dell’Utri, incaricato di alcuni restauri, e  dopo di lui Vittorio Mangano, stalliere delle blasonate scuderie.

Una sentenza del Tribunale di Roma, nel 2000, ha assolto Giovanni Ruggeri e Mario Guarino, autori del libro “Gli affari del presidente”, che raccontava la storia della transazione. Ma evidentemente i fantasmi del passato continuano a tornare.

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Maria Elena Perrero