Soltanto a Montecitorio dall’inizio della legislatura ci sono stati ben 86 ‘cambi di casacca’, di cui circa 10 solo nell’ultima settimana. Alcuni parlamentari, come ad esempio Maurizio Grassano, hanno avuto più di un ripensamento sulla propria collocazione politica. Per l’esattezza, nel suo caso, tre. Grassano infatti è passato dalla Lega (con la quale è entrato a Montecitorio in sostituzione di Roberto Cota diventato governatore del Piemonte) al gruppo Misto, per poi passare, sempre all’interno del Misto, dalla componente Liberaldemocratica a quella dell’Alleanza di Centro di Francesco Pionati: la conferenza stampa di ‘annuncio’ già c’è stata, tant’è vero che Grassano ha votato la fiducia al governo, mentre i suoi colleghi di componente Italo Tannoni e Daniela Melchiorri, no. Ma lui, al momento, non se la sente di sciogliere il ‘trio’. E se gli si chiede il perché, la risposta standard è: “Per motivi tecnici”.
Una componente parlamentare, infatti, per nascere ed esistere, ha bisogno di essere costituita da almeno tre deputati e di possedere un simbolo che sia stato presentato alle ultime elezioni politiche. Solo a queste condizioni la componente può ricevere, dall’amministrazione della Camera, degli uffici e un rimborso di 1.500 euro al mese per ogni deputato. Oltre a tre dipendenti che la componente può scegliersi autonomamente.
E’ questa una delle ragioni per cui ancora non esiste neanche sulla carta la componente di cui i tre ‘dissidenti’ Bruno Cesario, Domenico Scilipoti e Massimo Calearo hanno tanto parlato nella loro conferenza stampa di qualche giorno fa: l’ormai noto ‘Movimento di Responsabilità Nazionale’. I tre infatti non riescono ancora a trovare un simbolo che sia stato presentato alle ultime elezioni e che non sia più usato da alcuna forza politica. Quelli disponibili sul ‘mercato sono al momento 7. Ma di questi, tre sono di sinistra (Boselli, Sinistra Critica, Alternativa Comunista). E probabilmente non sono stati considerati ‘idonei’ dai tre che vengono dall’Idv e dall’Api. Poi c’è quello di Giuliano Ferrara ‘Aborto no grazie’, quello di Forza Nuova, quello della Lega per l’Autonomia lombarda e quello di Daniela Santanché (‘Movimento per l’Italia con D. Santanché).
La ‘cessione’ del simbolo o un suo ‘apparentamento’ con esponenti politici della Camera può avvenire sostanzialmente in due modi: o per motivi politici, come è successo per l’Api che per costituirsi (avendo meno di 20 deputati e non potendo dunque dar vita ad un gruppo) è ricorsa al simbolo dell”Unione democratica per i Consumatori’ di Bruno De Vita; o attraverso una sorta di ‘compra-vendita’. La cosa detta così può sembrare brutale, ma ci sono stati dei casi in cui in cambio dell’uso del simbolo si è chiesta, tra l’altro, l’assunzione di personale (tra i tre cui si ha diritto e che vengono pagati dalla Camera) o parte dei soldi che si ricevono mensilmente (se la componente e’ di tre si parla di una cifra mensile di 4.500 euro).
A parte la ‘tripletta” di Grassano, recordman dei ‘ripensamenti’ almeno in quest’ultima parte della legislatura, hanno fatto un ‘doppio passaggio’ i finiani Maria Grazia Siliquini, Silvano Moffa, Catia Polidori e Giampiero Catone: dal Pdl sono passati a Fli e poi al Misto. E il ‘bis’ lo hanno fatto anche Calearo e Cesario: dal Pd sono andati all’Api e poi al Misto.
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