Un filmato di poco più di un minuto in camera da letto. Si vede un uomo che indossa soltanto una camicia, accanto ha un transessuale seminudo. «Favorite i documenti» intima una voce fuori campo. L’uomo sgrana gli occhi. «Non mi rovinate, non mi fate del male» risponde. Poi va verso un tavolino.
Poco dopo vengono inquadrate alcune strisce di cocaina e una piccola cannula per aspirarla. Accanto c’è un tesserino della Regione Lazio che viene ripreso per captarne i dettagli. È intestato a Piero Marrazzo. Sembra proprio essere lui l’uomo ripreso con un telefonino all’interno dell’appartamento che si trova in via Gradoli, zona nord di Roma, anche perché dagli ambienti dove si sa escono particolari. In particolare, c’è il fatto che davanti ai carabinieri, Marrazzo ha ammesso tutto. Scrive Carlo Bonini su Repubblica: “Ascoltato in Procura come parte lesa, Marrazzo conferma la sua presenza nell’appartamento sulla Cassia. Spiega di aver consegnato tremila euro in contanti al suo compagno di quel giorno e di essere stato derubato dai carabinieri di altri duemila che erano nel portafoglio. Aggiunge che i militari si sarebbero fatti consegnare “con modi intimidatori” i suoi documenti di identità (tesserino della Regione compreso) e che, solo a quel punto, e nonostante le dimensioni ridotte della stanza da letto (non più di 10 metri quadri) avrebbe realizzato che sul tavolino della stanza da letto c’erano “delle strisce di cocaina”.
Fiorenza Sarzanini, sul Corriere della sera, riporta uno stralcio del verbale di interrogatorio di Marrazzo. La vicenda risale a “un giorno ai primi di luglio”, quando “Marrazzo si tratteneva all’interno di un appartamento in compagnia di tale Natalie”. Secondo Bonini, la realtà è un po’ più complessa. Bonini scrive di avere parlato con “Natalie”, che “conferma di conoscere Marrazzo ma nega la circostanza di quell’incontro (“in luglio ero in Brasile”, dice). Sostiene che il “vero luogo” dell’irruzione non sia molto lontano da casa. E che, quella mattina di luglio, Marrazzo fosse in compagnia di una tale “Brenda”. Il dettaglio non è evidentemente secondario per valutare i ricordi e l’attendibilità dei protagonisti di questa storia. Ma non cambia la sostanza delle cose”.
Quel che asembra ormai certo è che sul più bello, racconta Sarzanini, “fecero ingresso due uomini che si presentarono come carabinieri. Gli stessi, con modi palesemente intimidatori, si fecero consegnare dalla parte lesa il portafoglio contenente, oltre a una somma di denaro, i documenti di identità e chiesero una somma ingente, lasciando intendere, in caso di rifiuto, gravi conseguenze”. Marrazzo firmò tre assegni senza intestatario, per complessivi 20.000 euro. Prima di andare via i due lasciarono un numero di cellulare chiedendo di essere contattati in quanto volevano altri soldi”.
Marrazzo ammette di aver pagato, perché si era accorto della cocaina e questo lo avvrebbe potuto portare in carcere. Poi si accorge che dal suo portafoglio mancavano 2.000 euro in contanti, mentre la povera Natalie scopriva che i carabinieri si erano impadroniti anche dei 3.000 euro che erano il prezzo della prestazione e che lei-lui aveva lasciato su un tavolino. (Però. ne aveva di contante per le mani Marrazzo e quanto pagava. La prostituta che ha portato alla rovina politica il suo collega Eliot Spitzer si accontentava di qualxche centinaio di dollari lo stesso Spitzer è finito nei guai per appena duemila dollari).
Scrive il Corriere che, sempre secondo le dichiarazioni di Marrazzo, “nella stanza era presente anche polvere bianca che [lo stesso Marrazzo] identifica come cocaina, pur non avendone fatto uso. Riferisce poi che non fu lui a collocare il suo tesserino nella posizione che si vede nel video e deve pertanto ritenersi che il documento fu asportato dai militari, collocato accanto alla polvere e intenzionalmente filmato».
Il video dura un minuto e mezzo ed è servito a tenerlo poi sotto ricatto. Perché in quel momento il Governatore, minacciato e per questo preso dal panico, consegna ai due militari che hanno compiuto l’irruzione tre assegni per un totale di ventimila euro. Sono i primi di luglio. Marrazzo lascia l’appartamento e decide di non denunciare quanto è successo. Circa un mese dopo la vicenda finisce al centro di un’inchiesta. La versione ufficiale accredita l’ipotesi che gli accertamenti siano cominciati captando casualmente una conversazione durante la quale si parlava di vendere a un giornale o a una tv «il video di un politico molto noto con un trans».
Ma non è escluso che sia stata invece una soffiata a mettere gli investigatori del Ros, il Raggruppamento operativo speciale dell’Arma, sulla pista giusta. Nelle carte processuali sin qui raccolte si rintraccia comunque il filo di una storia che ha ancora molti punti oscuri, soprattutto per le versioni discordanti dei protagonisti. La persona che al telefono offre il materiale si chiama Antonio Tamburrino, un giovane carabiniere in servizio alla Compagnia Trionfale. Le sue parole forniscono la traccia per individuare i tre complici: Luciano Simeone, Carlo Tagliente e Nicola Testini. Si scopre che pure loro sono carabinieri. Si attivano così altre intercettazioni, i quattro vengono pedinati.
Le conversazioni registrate dimostrano che i tentativi per piazzare il filmato sono continui. Si parte da una richiesta iniziale di 140mila euro, ma poi le pretese sono sempre più modeste. Ad aiutarli c’è Max Scarfone. È il paparazzo diventato noto per aver immortalato il portavoce del governo Prodi Silvio Sircana mentre si avvicinava con l’auto a un transessuale. Agli inizi di luglio viene contattata la direzione del settimanale “Oggi”. Un inviato esamina il filmato, ma dopo qualche giorno comunica di non essere interessato. Si prova con alcuni quotidiani, ancora una volta senza successo. Alla fine Marrazzo dichiara: «C’era la cocaina, ho pagato perché avevo paura di essere arrestato».