Indovina chi viene a cena? Il Monsignore o il condannato?

Casini con Berlusconi sullo sfondo

Indovina chi viene a cena…il Monsignore o il condannato? Due cene a Roma, in linea d’aria neanche un chilometro l’una dall’altra, divise nel tempo da pochi mesi. Entrambe, ciascuna a suo modo, cene di “potere”. L’una sostanzialmente innocua, appuntamento di società e di costume che passa per alta, altissima politica. L’altra cena assai inquietante, inspiegabile con i parametri del buon senso e del buon costume civile. La prima soatanzialmente “normale” in un mondo in cui tutto si intreccia: amicizie, frequentazioni, alleanze e chiacchiera politiche. La seconda “normale” in un mondo in cui tutto si impasta: affari, lobby, impicci, manovre, legalità e illegalità.

La prima cena è quella a casa di Bruno Vespa, il giornalista più amato dagli italiani, quelli che siedono in Parlamento. Festa dei 50 anni della sua molteplice attività: testimone, narratore, megafono, taccuino vivente e maggiordomo-intrattenitore, nonchè storico-archivista di sussurri e parole del ceto politico. Invitati e presenti, Silvio Berlusconi premier, Pierferdinando Casini capo dell’Udc una volta parte del centro destra e da un paio d’anni all’opposizione, Tarcisio Bertone, uno dei prelati più vicini al Papa, quello che maggiormente ama occuparsi di cose italiane, Mario Draghi, governatore di Bankitalia. Invitato ma declinante l’invito, così si narra senza crederci troppo, anche Gianfranco Fini presidente della Camera. Si vuole che in questa sede alquanto estemporanea Berlusconi abbia offerto a Casini la vice presidenza del Consiglio, il ministero degli Esteri e l’altro ministero che fu di Scajola come “premio” per un ritorno dell’Udc, o di come si chiama adesso, nel centro destra governante. Casini avrebbe risposto: prima di parlarne davvero ci vuole una crisi di governo. Insomma dichiara che cambi musica e che quella suonata non è poi gran che e noi entriamo nelle fila dei suonatori: questa sarebbe stata la risposta. Risposta un paio di giorni dopo “chiarita” dallo stesso Casini con la formula: “Governo di emergenza”.

Bossi si è offeso molto, non per non essere stato invitato a casa Vespa, ma all’idea di veder tornare al governo Casini e i suoi: “Quelli anti federalisti e anti quote latte”. Due peccati egualmente capitali agli occhi del capo leghista. Dopo la cena, privata ma per nulla nascosta, lunghissimo “dopo cena” su giornali e tv con ampio e diffuso dibattito sulla manovra tentata ma non riuscita di sostituire Fini con Casini, su cosa farebbe Napolitano in caso di crisi, sugli umori di Tremonti se sono al riguardo uguali a quelli di Bossi…Insomma “fuffa” moltiplicata e gonfiata all’infinito. Nessuno che si sia consentita la plebea osservazione per cui se Berlusconi vuole trattare con Casini non ha bisogno di “sensali” quali Vespa o la sua cena. Tanto fumo attorno a quella cena e poco arrosto. Certo, c’è qualcosa di singolare e discretamente sbilenco nell’informatore politico principe in Rai che è anche intimo, intimissimo dei politici. Sbilenco quel Vespa insieme testimone e comparsa, anzi attore caratterista della politica. Ma si sa da tempo, è una sbilenca “normalità”. Sbilenco è quel monsignore che sarà stato anche zitto e muto sulle alleanze tra partiti, per chi ci vuole credere, ma che trova “normale” mischiarsi e quindi immischiarsi negli affari di un altro Stato. Ma si sa da tempo che molti nella Chiesa cattolica considerano l’Italia il “loro” Stato. Sbilenca anche quella partecipazione, si narra di pura cortesia, del Governatore di Bankitalia. Ma insomma, anche se molto, troppo “italiana”, era quella da Vespa alla fine solo una cena.

Non così la seconda, quella a casa di Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl. Alla cena o pranzo che fosse, più di un incontro c’è stato, erano invitati e present Flavio Carboni, condannato per bancarotta, Marcello Dell’Utri, condannato anche in appello per favoreggiamento ad attività mafiose, tal Martino politico campano ex socialista condannato anche lui e infine un magistrato, Martone, dimessosi di fresco dopo che cene e pranzi sono diventati di pubblico dominio e oggetto di indagini della magistratura. Magistratura che ipotizza una sorta di nuova P2, un’associazione segreta di affari e trame. Facciamo per comodità che la magistratura si sbagli, facciamo che non c’è reato alcuno. Resta la legittima cuoriosità: a quale “normalità” appartiene l’incontrarsi tra un leader nazionale del Pdl, tre condannati da altrettanti Tribunali e un magistrato? Mettiamo che non abbiano in quelle cene lavorato a spillare leggi e tangenti sugli impianti eolici in Sardegna (sia detto per inciso quel meccanismo di finanziamento pubblico che sanamente Tremonti sta provando a smontare con l’opposizione di fatto purtroppo unita di tre quarti del Pdl e pure del Pd e della sinistra ambientalista). Mettiamo che non provassero a piazzare uomini loro a far sentenze, che nulla sapessero del falso dossier a carico di Caldoro del Pdl per non farlo diventare candidato Governatore della Campania. Dossier che inventava lui fosse “come Marrazzo”, uno che va a trans. Mettiamo che non lavorassero di sponda con l’assessore Sica (si è dimesso ieri dalla giunta campana dicendo a Caldoro di essere “l’ultima ruota del carro” che fabbricava dossier). Mettiamo che non fossero in pool con Cosentino, avversario dentro il Pdl di Caldoro, Cosentino coordinatore campano e sottosegretario al governo raggiunto da mandato di cattura per supposta contiguità di interessi con i “casalesi”.

Mettiamo tutto questo e diamolo per buono, anche se ci vuole per farlo molta indulgente fantasia. Resta ancora la domanda: è “normale” la “Cena dei condannati”, va accettata come normale attività politica e di relazione quella di Verdini che mette a tavola tre pregiudicati su quattro?

Uno dice: coincidenze. Scajola che gli comprano la casa “a sua insaputa”. Lunardi che il Vaticano gli vende un palazzo alla metà del valore. Brancher “ministro dell’imbarazzo” sotto processo per aver incassato soldi dalla Antonveneta. E coincidenza che Verdini spunti e rispunti in quasi tutte queste storie di cronaca e affari. Mettiamo che siano coincidenze, certo sono coincidenze “convergenti”, convergono verso un gruppo, un ceto, una cerchia che abita ai piani alti e altissimi del Pdl.

Per fortuna non c’è solo il Pdl, c’è la Lega. Quella che con Bossi, padre e figlio, difende una settantina di allevatori che non vogliono pagare una lira e un euro di multa. Lira ed euro perchè non pagano da venti anni. Tutti gli altri hanno pagato, gli altri allevatori. E tutti gli altri italiani sotto forma di tasse per pagare i miliardi che è costato all’Italia non far pagare i rumorosi morosi. Ma Bossi padre e figlio dicono: “Chi se ne frega dell’Europa, del ministro Galan e di tutti gli altri, quei settanta sono nostri e quindi non pagano”. Per fortuna che c’è la Lega.

E per fortuna che c’è l’opposizione, il Pd e la sinistra di Vendola e Di Pietro. Tutti acquattati e in fila dietro la più sballata delle richieste, pretese, dietro la peggior barricata del “resistere”. Sinistra sponsor mansueta, complice e palo del rifiuto delle Regioni a tagliare neanche il tre per cento della loro spesa complessiva. Tutti allineati dietro la bugia che sarebbero solo e soltanto tagli ai “servizi sociali”.

Si può dunque scegliere, il menù delle cene e dintorni è ampio e vario. C’è la “Cena delle vanità”, quella dei “Condannati”, quella dello “Statista Verde” e quella della sinistra della bancarotta. Le ultime due hanno la forma del comizio o della manifestazione di protesta, inquietano meno, anzi per nulla. Ma sono a loro modo anch’esse “cene” in cui non si cucina né si serve alcuna pietanza che contenga il sale della speranza.

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Mino Fuccillo