In Cina le prove ottenute illegalmente – ad esempio usando mezzi di tortura durante un interrogatorio – non possono essere usate, soprattutto in casi che prevedono la possibilità di applicare la pena di morte. Lo riporta il China Daily.
La Corte Suprema e i ministeri di Pubblica sicurezza, sicurezza di Stato e Giustizia hanno, infatti, emesso congiuntamente due nuove disposizioni secondo le quali la condanna a morte può essere pronunciata solo dopo aver acquisito prove sufficienti di colpevolezza, in modo legale. Secondo gli esperti, l’applicazione delle nuove regole, che spiegano nel dettaglio anche le procedure da seguire per raccogliere prove valide, servirà a ridurre sensibilmente l’applicazione della pene di morte e le confessioni forzate.
“Questa è la prima volta che una legge chiara ed esplicita stabilisce che le prove ottenute con mezzi non legali non sono valide”, osserva Zhao Bingzhi, rettore della facoltà di diritto dell’Università di Pechino , “fino ad ora in molti casi prove raccolte in questo modo erano di fatto considerate valide. Si tratta di un importante passo in avanti, sia per il nostro sistema legale sia per la tutela dei diritti umani. Ci sarà sicuramente una drastica riduzione delle esecuzioni”.
Il tema delle sentenze sbagliate e delle incarcerazioni ingiuste è tornato prepotentemente alla ribalta con il caso di Zhao Zuohai, rimasto in carcere per 11 anni accusato di aver ucciso un uomo che invece lo scorso 30 aprile è tornato improvvisamente a casa. Zhao ha poi raccontato di essere stato torturato in carcere e costretto a confessare un omicidio mai commesso e tre ex poliziotti sono stati arrestati con l’accusa di aver torturato l’uomo.
“Casi come questo minano seriamente l’immagine del sistema giudiziario e la fiducia del popolo nei confronti del governo” ha detto Bian Jianlin, professore all’Università cinese di Scienze Politiche e Diritto. Nel 2008 la Suprema Corte ha fatto sapere che almeno il 15% delle sentenze di morte pronunciate dai tribunali cinesi si sono poi rivelate infondate.