Il “legittimo impedimento” a presentarsi in Tribunale quando si hanno impegni di governo c’è e non è un’invenzione, ma non stabilisce Berlusconi d’autorità, una volta e per tutte e in via automatica. Così ha deciso in sostanza la Corte Costituzionale. I giudici della Consulta riconoscono come non contrario appunto alla Costituzione il principio per cui l’udienza possa slittare e il magistrato e il processo possano aspettare. Ma non sull’agenda, indiscutibile e da accettare a scatola chiusa fornita dal governo. La “certificazione” di Palazzo Chigi non basta, non fa testo e va sottoposta ad esame di congruità. In poche e semplici parole, il premier può chiedere rinvio dell’udienza cui è chiamato. Chiedere però non vuol dire automaticamente ottenere. Alcuni impegni sono di effettivo impedimento, altri no. E su questa valutazione possono intervenire i giudici. Berlusconi ha quindi la legittima possibilità di non presentarsi ma la Corte Costituzionale gli leva la garanzia di non presentarsi che la legge votata dal parlamento gli dava.
Non è una mediazione, una via di mezzo. E’ una sentenza di buon senso. Stabilisce che la “primogenitura” non spetta di diritto al potere giudiziario, che non può chiamare il premier a prescindere dalla sua attività di governo. Ma stabilisce anche che il premier non è sopra la regola e le regole, anche lui deve sottostare alla regola di documentare la natura del suo impegno e deve comunque garantire che prima o poi si presenterà. Giuristi, costituzionalisti e avvocati e politici discuteranno e intrpreteranno la sentenza. Quel che è certo è che a Berlusconi non basta. Tre processi lo attendono: Mills, Mediatrade e Mediaset. Il primo è per lui il più pericoloso perchè l’avvocato Mills è già stato definitivamente condannato in quanto corrotto. E il corruttore, senza nome in quella sentenza, ha un’identità precisa nel processo in corso, appunto quella di Berlusconi. Ora il premier, che ieri si era dichiarato “indifferente” alla decisione della Corte, ha di fronte due strade, anzi tre. La prima è quella impervia di chiedere al Parlamento una nuova legge, un nuovo scudo giudiziario che lo esenti e ripari dai processi. Difficile possa trovare una maggioranza. La seconda è quella di sciogliere le Camere e andare a elezioni anticipate chiedendo una sorta di “giudizio di popolo” al posto di quello dei Tribunali. Il prezzo di questa scelta è alto, il pieno successo elettorale non è garantito, anche in caso di vittoria limitata del centro destra Berlusconi potrebbe non essere più il presidente del Consiglio incaricato. Solo un plebiscito a suo favore lo riconferma a Palazzo Chigi. Le elezioni sono la scelta drastica e pericolosa per Berlusconi ma sono anche il terreno di lavoro e di scontro a lui più congeniale. La terza strada è quella di puntare con i suoi avvocati ad una “morte naturale” dei processi tirandola in lungo fino alla prescrizione dei reati.
Berlusconi deciderà e sceglierà, la sentenza della Corte riapre indirettamente il capitolo delle elezioni anticipate, rende più arduo l’arruolamento di nuovi parlamentari nella maggioranza, può aumentare i dubbi leghisti sul continuare come se nulla fosse. Se quella di Berlusconi era “indifferenza” reale e non recitata per la circostanza, allora in cuor suo deve aver già scelto: o affidarsi a Ghedini per far morire di inedia i processi e correre comunque il rischio di una condanna per corruzione di qui a circa dodici mesi, oppure affidarsi a se stesso e puntare al “giudizio di popolo” contro la “patologia” della giustizia.