Si cambia la Costituzione per i certificati? Un sospetto: si vuole dar via libera alla speculazione edilizia e alla evasione fiscale?

Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti

I giornali e i siti internet, anche quelli più di sinistra e ostili al Governo, fanno pensare che sia in atto un cambiamento che farà schizzare l’Italia in testa alle classifiche mondiali dell’efficienza, della produttività, dell’export, di tutte le virtù imprenditoriali.

“Si cambia la Costituzione! Evviva! Spazziamo via i nodi che impediscono all’Italia di competere sul mercato globale! Evviva!”

Le norme che sembrano portare l’Italia in fondo all’oceano e quelle che dovrebbero riscattarla, fanno venire invece il dubbio che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto preoccupante. Tutto l’insieme suona allarmante. Legittimo è il dubbio che, sotto un’altra abile trovata da prestigiatore dei mezzi di comunicazione di massa per una platea che aspetta avidamente parole d’ordine che l’accarezzino nel verso del pelo, si nasconda qualcosa che non va: lo scardinamento di ogni controllo sulle nuove attività economiche, non molto giustificato da niente.

A sentire il ministro Giulio Tremonti, sembra che gli italiani, oltre ai mondiali di calcio, abbiano una sola ossessione, diventare imprenditori, aprire nuove aziende. Guardiamoci in faccia senza ridere. In Italia non si aprono milioni di imprese al giorno e la maggior parte degli italiani non sogna di diventare imprenditore, sogna un posto fisso, sicuro, garantito se possibile alle future generazioni. Pomigliano è il modello inconscio, non Forrest Gump. A meno che, sotto le immaginifiche parole, non si nasconda un obiettivo un po’ meno nobile anche se indubbiamente efficace: trasformare quei sognatori di posto fisso in altrettante partite iva (lo vogliono fare anche con le puttane) e guadagnare competitività rendendo diffusamente precaria la forza lavoro da colletto bianco.

Questa può essere una spiegazione convincente, non la storia della competitività globale legata ai certificati e alle Camere di commercio. Le imprese che oggi già esistono, ci sono e competono egregiamente pur in presenza di quelle norme che si vorrebbero scardinare. Oggi, in Italia, con internet, aprire un’impresa è meno complicato che fare la carta di identità o la patente.

I problemi che affliggono le imprese oggi sono ben altri: la pressione fiscale e quella contributiva che gravano solo su una parte del sistema produttivo, cioè le aziende di una certa dimensione, sottoposte, per legge, anche a vincoli importanti di natura sindacale che non sarà certo la riforma di Tremonti ad allentare.

E poi ancora, le difficoltà di ottenere crediti. Ora, se il sistema bancario italiano ha superato meglio di tutti l’esame crisi, questo è anche dipeso dal fatto che sono state molto strette nel concedere prestiti. Questo è il problema, quello di aiutare, con agevolazioni e garanzie da parte dello Stato, le aziende a finanziarsi, non riducendo qualche certificato. Con l’autocertificazione le banche non ti daranno più soldi, anzi staranno ancor più attente, perché sei tu che dici di essere quello che dici ma a me banca chi me lo garantisce?

Se poi si parla di imprese che affrontino la competizione globale e si capisce il senso delle parole che circolano, si argomenta anche di imprese con rilevanti capitali e quindi avvocati, commercialisti oltre che dirigenti e manager di buon livello, che non si arrestano certo di fronte a quattro certificati e due registri.

Chi semplicemente ha l’abitudine di leggere i giornali, su carta o on line, sa che non è il bar o la pescheria, il negozio di elettrodomestici o il laboratorio di falegname che affrontano la competizione globale. La competizione globale è data da aziende colossali, con ingenti capitali, fior di dirigenti e con alle spalle dei Governi consapevoli di quel che devono fare, di strutture di diplomazia attive e focalizzate a penetrare i vari mercati.

Questo fanno i tedeschi, questo non fanno gli italiani. Un esempio di qualche anno fa. Silvio Berlusconi era presidente del Consiglio, Walter Veltroni era sindaco di Roma. Berlusconi, che è della pianura padana, non può immaginare che lontano lontano, quasi dall’altra parte del mondo, ci sia un continente che si chiama Cina. Dovrebbe andarci, ma una piccola grana di politica interna gli dà il pretesto per cancellare il viaggio.

Veltroni, che è perito cinematografico e vede il mondo in technicolor e per un titolo in più sui giornali invita in Campidoglio il Dalai Lama e la cosa fa inferocire i cinesi, per i quali conta poco che Berlusconi e Veltroni militino in due partiti contrapposti. Questa è una sottigliezza di poco conto, per il loro modo di pensare: per loro gli italiani sono non brava gente, ma brutta gente, insensibile, ignorante e quando l’ambasciatore chiede udienza lo fanno ricevere dall’ultimo scalcinato funzionario ex maoista.

Nel frattempo arrivano i tedeschi, che si sono curati i cinesi, li hanno colmati di attenzioni e di fiori, hanno manifestato verso di loro il rispetto che merita una probabile futura superpotenza mondiale, magari hanno anche fatto scivolare nelle tasche giuste le giuste bustarelle (la storia della Siemens è educativa) e il risultato è che le grandi industrie tedesche si sono aggiudicate contratti da miliardi.

Grandi industrie, che non sono frenate, nella nascita e nella vita, da quattro certificati in più. Grandi industrie, non il bar di fronte, che per la sua tettoia avrà al massimo dato una mazzetta a qualcuno al Comune e che non ha ambizioni globali di esportare, né in Cina né in Albania, i suoi cappuccini.

C’è qualcosa che puzza in tutta questa storia. Quel che nessuno riesce a immaginare è quel che accadrà davvero, da qui alla prossima emergenza che porterà a introdurre norme ancor più rigide di prima, per contrastare le inevitabili e immancabili infiltrazioni mafiose, gli abusi, le illegalità che nel frattempo si saranno verificati in nome della semplificazione. Leggiamo vecchie e nuove norme, magari c’è qualcosa che capiscono solo i legulei, ma se non si capisce è anche peggio.

A questo punto si comincia a capire. Forse, dietro la competizione globale, si nasconde qualcosa di più italiano: lo scardinamento delle norme urbanistiche, la possibilità di aprire e chiudere aziende, aziendine, “scatole” senza alcun contenuto imprenditoriale, il tutto a piacimento e tanto peggio per chi ci rimane: che sia l’ingenuo cittadino che ha stabilito rapporti con aziende così evanescenti, o peggio ancora il fisco.

Questa seconda è probabilmente l’ipotesi più verosimile, perché l’idea che si scomodino funzionari dello Stato di alto livello per studiare leggi per favorire piccoli truffatori è poco consistente. Se invece l’attività creativa è indirizzata verso nuovi forme di elusione del fisco, allora ne vale la pena, visto che con il tempo le varie isole felici del Lussemburgo, del Portogallo, dell’Irlanda sono state lambite da acque sempre più procellose di agenti delle tasse scatenati da tutta l’Europa.

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