L’emissione, da parte del gruppo Cirio, di bond per circa 1 miliardo e 125 milioni di euro tra il 2000 e il 2002 fu una mossa per “rinviare la dichiarazione di insolvenza” e provocò un “ulteriore danno complessivo di 637 milioni di euro”.
È quanto sostenuto oggi in aula del Tribunale di Roma, nell’ambito del processo per il crack del gruppo, da parte di Enrico Proia, consulente per la parte civile dell’amministrazione straordinaria Cirio rappresentata dagli avvocati Titta e Nicola Madia. Nel processo sono imputate a vario titolo 35 persone per i reati di bancarotta fraudolenta, preferenziale e distrattiva, truffa e falso tra cui il patron del gruppo, Sergio Cragnotti e Giampiero Fiorani, all’epoca presidente della Banca popolare di Lodi.
In base a quanto ricostruito dal consulente, la somma derivante dall’emissione dei prestiti obbligazionali fu utilizzata per “l’acquisto del gruppo Dal Monte (190 milioni), l’unica vera operazione imprenditoriale che non giustificava la massiccia emissione di bond. La riduzione dell’esposizione bancaria (246 milioni) e trasferimenti in altre società che non facevano parte del core business tra cui la SS Lazio e l’acquisto di Brombil (688 milioni)”.
“Mi è sembrato che dal punto di vista tecnico – ha aggiunto Proia – l’emissione di questi bond sia stata fatta con l’intento di rinviare la dichiarazione di insolvenza e ha determinato peggioramento della situazione debitoria generando interessi per circa 200 milioni e un danno complessivo per le casse del gruppo da me quantificato in 637 milioni di euro”. Per la Procura questa cifra va ampliata di altri 680 milioni di euro riferiti alle operazioni “infra gruppo”.