C’era, credo ci sia ancora, un modo di dire: «Gli dai il dito e si prendono la mano, anzi tutto il braccio». Era un’immagine popolare con cui si ritraeva l’approfittare oltre misura di una circostanza favorevole, l’impadronirsi della buona volontà altrui per piegarla e in fondo stravolgerla. Chissà se Renato Schifani, presidente del Senato, si ricorda di quel modo di dire. Forse sì, forse no, di certo l’immagine fotografa e ritrae quel che la seconda carica dello Stato ha fatto con le parole della prima.
A proposito di Bettino Craxi la prima carica dello Stato, il presidente della Repubblica Napolitano, aveva appena finito di dire in forma di lettera alla famiglia, ma in fondo a tutto il paese, quel che in questo paese è dannatamente difficile dire. Quel che ogni cittadino di buon senso e di moderata ragione dovrebbe sapere e pensare. E cioè che Craxi fu nella sua vita pubblica, insieme e contemporaneamente, statista, riformatore e ladro. Statista senza discussione e dubbio alcuno. Governò l’Italia e non in maniera piatta e incolore. Ebbe una politica estera coraggiosa di sfida verso l’Est comunista e dignitosa verso l’alleato americano. Ebbe intuizioni e prese decisioni di politica economica: lo stop alla scala mobile ma non solo. Firmò un nuovo Concordato con la Chiesa cattolica in cui lo Stato ebbe la parte e la vocazione del socio di minoranza, ma fu comunque una firma storica. Quindi statista, non ci piove.
E riformatore, almeno nelle intenzioni. La “Grande Riforma” come slogan e obiettivo l’ha inventata e battezzata Craxi. Oggi più correttamente la chiameremmo “presidenzialismo”, un sistema politico dove il premier non solo governa ma comanda. Nell’elaborazione e nella propaganda, nella teoria e nella pratica, Craxi si fermò a questa “voglia e bisogno” di potere reale. Mai si spinse fino a delineare come un presidenzialismo italiano potesse inscriversi in una bilancia dei poteri. Condizione che in tutti i paesi a sistema presidenzialista accompagna e controlla i poteri del premier, a partire dagli Usa. Comunque anche qui non ci piove: l’intento riformatore in Craxi c’era. Non quello per cui oggi viene celebrato, non l’anticomunismo e la tattica di governare con il dieci per cento dei voti. Queste non sono riforme della forma di Stato, sono il sale ma anche le briciole della politica di partito.
E ladro, perché Bettino Craxi è tale in forza di sentenze passate in giudicato che non possono essere sottoposte a revisione, men che mai a revisione “ideologica”. Perché ci sono le prove del maneggio di tangenti. Perché sostenere e gridare che non rubò da solo non è argomento a discarico. Né per la giustizia, né per la storia.
Dunque statista, riformatore e ladro. Non ci piove. Ognuno può poi sostenere la piccola ma utile fatica di informarsi e ragionare sulle sue scelte e azioni da statista, sulla qualità e quantità delle sue riforme, sul perché e sul come esigeva e smistava tangenti. E ognuno può, anzi dovrebbe, sulla base dei fatti, dei ragionamenti e delle informazioni, modulare giudizi che siano complicati e contraddittori così come spesso, anzi sempre, è la realtà. Sottoposti a questa griglia di ragione e decenza, possono, anzi dovrebbero suscitare fastidio, non fosse altro che per il loro indigente semplicismo, giudizi del tipo: «Craxi? Un delinquente al governo». Fastidio per la loro povertà intellettuale e storica.
Ma analogo fastidio può, anzi dovrebbe, destare l’epigrafe vergata, l’epitaffio coniato da Renato Schifani per cui Craxi fu «Una vittima sacrificale». Non è solo un giudizio partigiano, è un troppo che stroppia e offende anche chi per la storia umana e politica di Craxi prova rispetto. Il rispetto non necessariamente riabilita, il rispetto è “il dito” di Napolitano che Schifani afferra e torce per prendersi la “mano e il braccio” della riabilitazione e beatificazione.
Operazione che Schifani conduce e realizza con lo spessore storico di uno studioso che spiega Gesù come “vittima dei mercanti del tempio”. Con lo spessore e l’analisi di chi racconti Isaac Newton come «quello cui cadde in testa una mela». Con l’etico istinto di chi, chiamato a raccontare perchè la moglie abbia investito con l’auto un pedone, proclama: «È colpa delle strisce pedonali cancellate, la mia signora è vittima dell’assessore». Qualcuno ha scritto che non esiste un Tribunale della storia. Giusto, perchè la storia non emette sentenze ma insegna, anche se solo a chi ha voglia e intelletto e coscienza per imparare. Ma, se quel Tribunale esistesse, oggi non potrebbe che accantonare l’istanza di revisione a favore di Craxi. Accantonarla in attesa non tanto di tempi migliori, ma di migliori peroratori della causa di Craxi. Molti, troppi di quelli che oggi parlano per lui sono molto peggiori di lui. Almeno come statisti e riformatori.