Tutti o quasi ormai vogliono la fine politica di Berlusconi o almeno lo dicono. Anche se tutti sono consapevoli dei rischi che comporta per l’Italia una crisi di governo al buio. Ne è consapevole anche Berlusconi, il quale gioca pesantemente la carta delle turbolenze finanziarie mondiali, degli attacchi speculativi al debito pubblico italiano, della dolorosa e sanguinosa manovra che aspetta chi sarà al governo a primavera 2011. Da qui il gioco del cicken.
Siamo in un turbine, dai più alti livelli a quelli più terrestri. E un’idea del turbine di contrapposizioni e veti incrociati la dà in modo lampante la rassegna stampa della domenica mattina.
Antonio Di Pietro, interpellato da il Fatto Quotidiano, è molto chiaro: “L’IdV è disposta a partecipare a un governo di transizione con una nuova maggioranza, che faccia una nuova legge elettorale nell’interesse del Paese. Per le prossime elezioni l’Italia dei Valori si muoverà all’interno di un sistema bipolare. Noi non possiamo partecipare a un eventuale Terzo polo. E comunque non ci sarà mai una lista civica nazionale, una sorta di coalizione unica”. Forse sa anche che non ce lo vorrebbero, però il clima è questo.
Berlusconi, chiuso nel suo fortino, gioca fino all’ultima carta. Troppe volte lo hanno dato per finito ed è tornato a vincere. La stringata cronaca di Carmelo Lopapa su Repubblica è senza sbavature: “Non è più il tempo di trattare. Non tratto con chi vuol solo ricattare e farmi fuori. Fiducia o elezioni subito” riporta Lopapa, che aggiunge: “Silvio Berlusconi stronca qualsiasi velleità diplomatica delle sue colombe”. “Berlusconi si è ormai convinto che con i terzopolisti non bisogna più dialogare”.
Rientrato in Italia, ha lavorato “tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli prima di volare in serata [di sabato] a Milano, e la lunga serie di telefonate con ministri, sottosegretari e dirigenti Pdl contengono un unico messaggio. E non è un messaggio di apertura a Gianfranco Fini”, del quale, nel racconto di Repubblica, Berlusconi dice “che ha ridotto la terza carica dello Stato al rango di capofazione: avevo ragione nel chiederne le dimissioni”. Se vi fate passare i fumi dell’antiberlusconismo viscerale, non potete non dargli ragione.
Continuando invece nella tradizione giolittiana del “calciomercato” Berlusconi ha passato il pomeriggio del suo sabato romano “appeso alla cornetta del telefono come di consueto nei momenti critici per un´ultima manovra di avvicinamento alle pedine centriste e finiane che ritiene ancora recuperabili”. Intanto ha costretto Dennis Verdini, autore di un intempestivo oltraggio al presidente della Repubblica, a una umiliante quanto ridicola marcia indietro per “non avere contro il Quirinale”: “Ribadisco che me ne frego ma non è un’offesa al Colle”. Resta solo da notare la volgarità dell’espressione, che non è da leader politico moderato, ma da fascista: lo slogan fu fatto proprio da Mussolini, che preferì il termine frego all’ancor più volgare sinonimo “fotto”.