Sarà una settimana di passione, in avvicinamento alla data del voto di fiducia del 14 dicembre, tra fuochi d’artificio, manovre sott’acqua e gioco del chicken, quel gioco estremo che fanno a volte i giovani, in preda ad alcol droga o adrenalina pura, in cui perde chi si ferma per primo davanti a un muro o a un precipizio.
Lo spettacolo è inverecondo.
Lo scontro è tutto nella destra, con Silvio Berlusconi sfidato all’ultimo sangue dal ribelle ex miracolato e fascista Gianfranco Fini. I metodi sono quelli squadristici puri connaturali a Fini ma ai quali Berlusconi si è rapidamente adeguato, e questo senza nemmeno bisogno di chiedere consiglio al suo idolo bolscevico, l’ex agente del Kgb Vladimir Putin.
Sarebbe un patetico spettacolo di burlesque se non fosse che in gioco ci sono i nostri interessi, individuali e collettivi, riassunti in una parola, Italia.
Lo scenario che si offre a noi poveri sciagurati cittadini di un paese ancora in preda ai sussulti del post1919 e della guerra fredda, in questa fredda e grigia (come appariva la Camera a Mussolini) domenica di dicembre, è complesso.
Tanti sono gli interessi leciti e illeciti visibili e sotterranei, che si scontrano e giocano sulla nostra pelle. Di qualcosa che i più malpensanti tra noi avevano intuito abbiamo avuto conferma nell’ultima settimana, dopo le rivelazioni di Wikileaks. In realtà Wikileaks non ha portato prove ma ha solo riportato sospetti di terzi. Ma se questi terzi si chiamano diplomazia americana ci sono tutte le ragioni per dargli almeno qualche punto di credibilità.
Petrolio, Eni, Finmeccanica, forniture, appalti: sono questi gli ingredienti della torta avvelenata che rischiamo di addentare anche noi semplici cittadini, travolti, nella nostra limitata intelligenza, da un gioco di specchi degno del Le Carré degli anni d’oro, in cui l’ex demonio americano è diventato la fonte del bene per una sinistra che ora considera l’ex fonte della salute sovietica come il nemico subdolo di cui diffidare. Peggio ancora, l’ultra anti comunista Berlusconi, che della difesa dell’Italia dal Male assoluto ha fatto uni dei motivi conduttori dei suoi successi elettorali, ci viene ora presentato in un ruolo molto spregiudicato e ambiguo, nella migliore delle ipotesi come un affarista senza scrupoli, che calpesta tutti gli ideali che ci ha propinato per anni pur di arraffare denaro; nella peggiore come un cripto “agente di influenza” russo” (vengono i brividi: chi ricorda che Gianfranco Piazzesi, grande inquisitore del passato di Licio Gelli, sosteneva che il gran maestro della P2 era in realtà un agente sovietico?). Dicevano che fosse un “agente di influenza” di Hitler la signora Wally Simpson, poi duchessa di Windsor; per questa ragione, non perché lei fosse divorziata, suo marito fu costretto a rinunciare ad essere re d’Inghilterra come Edoardo VIII.
Tutti o quasi ormai vogliono la fine politica di Berlusconi o almeno lo dicono. Anche se tutti sono consapevoli dei rischi che comporta per l’Italia una crisi di governo al buio. Ne è consapevole anche Berlusconi, il quale gioca pesantemente la carta delle turbolenze finanziarie mondiali, degli attacchi speculativi al debito pubblico italiano, della dolorosa e sanguinosa manovra che aspetta chi sarà al governo a primavera 2011. Da qui il gioco del cicken.
Siamo in un turbine, dai più alti livelli a quelli più terrestri. E un’idea del turbine di contrapposizioni e veti incrociati la dà in modo lampante la rassegna stampa della domenica mattina.
Antonio Di Pietro, interpellato da il Fatto Quotidiano, è molto chiaro: “L’IdV è disposta a partecipare a un governo di transizione con una nuova maggioranza, che faccia una nuova legge elettorale nell’interesse del Paese. Per le prossime elezioni l’Italia dei Valori si muoverà all’interno di un sistema bipolare. Noi non possiamo partecipare a un eventuale Terzo polo. E comunque non ci sarà mai una lista civica nazionale, una sorta di coalizione unica”. Forse sa anche che non ce lo vorrebbero, però il clima è questo.
Berlusconi, chiuso nel suo fortino, gioca fino all’ultima carta. Troppe volte lo hanno dato per finito ed è tornato a vincere. La stringata cronaca di Carmelo Lopapa su Repubblica è senza sbavature: “Non è più il tempo di trattare. Non tratto con chi vuol solo ricattare e farmi fuori. Fiducia o elezioni subito” riporta Lopapa, che aggiunge: “Silvio Berlusconi stronca qualsiasi velleità diplomatica delle sue colombe”. “Berlusconi si è ormai convinto che con i terzopolisti non bisogna più dialogare”.
Rientrato in Italia, ha lavorato “tra Palazzo Chigi e Palazzo Grazioli prima di volare in serata [di sabato] a Milano, e la lunga serie di telefonate con ministri, sottosegretari e dirigenti Pdl contengono un unico messaggio. E non è un messaggio di apertura a Gianfranco Fini”, del quale, nel racconto di Repubblica, Berlusconi dice “che ha ridotto la terza carica dello Stato al rango di capofazione: avevo ragione nel chiederne le dimissioni”. Se vi fate passare i fumi dell’antiberlusconismo viscerale, non potete non dargli ragione.
Continuando invece nella tradizione giolittiana del “calciomercato” Berlusconi ha passato il pomeriggio del suo sabato romano “appeso alla cornetta del telefono come di consueto nei momenti critici per un´ultima manovra di avvicinamento alle pedine centriste e finiane che ritiene ancora recuperabili”. Intanto ha costretto Dennis Verdini, autore di un intempestivo oltraggio al presidente della Repubblica, a una umiliante quanto ridicola marcia indietro per “non avere contro il Quirinale”: “Ribadisco che me ne frego ma non è un’offesa al Colle”. Resta solo da notare la volgarità dell’espressione, che non è da leader politico moderato, ma da fascista: lo slogan fu fatto proprio da Mussolini, che preferì il termine frego all’ancor più volgare sinonimo “fotto”.
Intanto, tra gli opposti schieramenti siamo in piena pretattica. Imperversa la guerra dei numeri. Secondo Lopapa, i finiani si sentono “forti di quota 85 della mozione di sfiducia”. Ma “il 317 sbandierato da Fini e Casini «non sta in piedi», sostiene il sottosegretario Daniela Santanché, che sul rafforzamento della maggioranza lavora da tempo: «La loro è una guerra psicologica, vorrebbero far credere al capo dello Stato di essere in grado, proprio con quei numeri, di dar vita a un nuovo governo. Ma l´unico progetto politico che hanno è mandare a casa Berlusconi. E falliranno»”.
Anche la cronaca di Lorenzo Fuccaro per il Corriere della Sera è centrata sulla “prova di forza” tra Berlusconi e Fini, anche se per il momento sembra piuttosto trattarsi di una guerra dei nervi e delle parole, così sintetizzate dal Corriere: per Berlusconi “è da irresponsabili adesso aprire la crisi”, cui replica Fini: “Perde i pezzi”.
Berlusconi, riferisce Fuccaro, “ostenta sicurezza, convinto di avere i numeri per superare la prova della fiducia alla Camera il 14 dicembre” e “attacca sinistra e terzo polo”.
Nella cronaca del Corriere, “il clima è di crescente mobilitazione in vista della due giorni del prossimo fine settimana”, sabato 11 e domenica 12, vigilia del voto. Parlando, ovviamente per telefono, a Napoli a un convegno di transfughi Udc, Berlusconi ha anticipato la campagna elettorale, contro “la sinistra che vuole spalancare le frontiere per fare entrare extracomunitari e clandestini, per dare loro il voto e cambiare la maggioranza dei moderati. Una sinistra che rimetterebbe l’Ici e introdurrebbe la patrimoniale per ripianare il debito pubblico e che porterebbe al 25% le imposte sui nostri risparmi”.
Intanto sui giornali, siamo in pieno clima squadristico, per fortuna solo virtuale, almeno per ora, anche se Giuseppe Giulietti usa comunque il termine di “mazzieri.
Su questa linea è anche Francesco Merlo su Repubblica che critica duramente l’iniziativa del quotidiano Libero di pubblicare le foto segnaletiche e gli indirizzi mail dei parlamentari di centrodestra che hanno deciso di non votare la fiducia a Berlusconi, col titolo: «Scrivete ai traditori».
Si tratta, sostiene Merlo di “un naufragio professionale confessato e certificato dallo stesso direttore Maurizio Belpietro che mette le mani avanti perché sa bene che sta usando, come scrive nelle prime righe, «la carta stampata come un manganello». E infatti arriva al “chi se ne frega” che del manganello è appunto lo storico, sodale camerata: «Dite quel che vi pare: a noi importa un fico secco». Ecco: chi se ne frega. Ieri lo ha detto anche Denis Verdini a proposito – nientemeno – del capo dello Stato. Evidentemente c´è un confine che è stato definitivamente superato, una soglia di non ritorno: il chi se ne frega è diventato una linea politica e una trincea. E non è inutile ricordare che “me ne frego” è stata la parola del violento. Seguirono i fatti”.
A Libero fa eco l’edizione domenicale del Giornale dei Berlusconi, che se la prende con Fini e Casini, definendoli, con tanto di mega foto in prima pagina, “basisti della sinistra” e “utili idioti”, espressione degli anni ’50, coniata da Giovanni Guareschi per definire gli incauti fiancheggiatori dei comunisti in quei tempi di guerra fredda.