Csm, via Matteo Brigandì: decaduto per incompatibilità

ROMA – Da oggi non è più consigliere del Csm il laico della Lega, Matteo Brigandì. Con una decisione senza precedenti – passata con 19 sì, tre no e due astenuti – il Plenum del Csm ha dichiarato la sua decadenza. La ragione: non essersi dimesso per tempo da ruolo di amministratore della Fin Group, mentre la legge stabilisce l’incompatibilità tra l’essere componente di un consiglio di amministrazione di una società commerciale e l’incarico di consigliere del Csm.

La votazione è avvenuta a scrutinio segreto dopo che al Csm era stato notificato il ricorso al Tar presentato in prevenzione da Brigandì. A quel punto, Vietti ha proposto di invertire l’ ordine del giorno, riprendendo la trattazione del caso Brigandì che stamattina era stata rinviata al 4 maggio.

Brigandì era già finito nella bufera dopo la pubblicazione sul Giornale di atti del Csm relativi ad un procedimento disciplinare a carico del pm di Milano, Ilda Boccassini; un caso per il quale lo ha messo sotto inchiesta la Procura di Roma, che indaga su di lui anche per la vicenda che oggi gli è costata il posto di consigliere del Csm. Con la sua uscita dal Csm e sino a quando il Parlamento in seduta comune non nominerà il suo successore, il gruppo dei laici che fanno riferimento alla maggioranza di Governo scende a 4 consiglieri.

Si tratta di una soglia che non consente di far mancare il numero legale alle sedute del Plenum del Csm; un’arma di cui i laici di Pdl e Lega non si sono mai avvalsi in questa consiliatura, a differenza di quanto accaduto in quella precedente.

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Alessandro Avico