Datagate: ma cosa fanno le ambasciate italiane per non farsi intercettare?

La sede dell’ambasciata italiana a Washington

ROMA – L’America sarà pure una superpotenza che abusa dei suoi superpoteri, noi saremo anche piccoli e non possiamo fare molto più che lamentarci quando scandali come il Datagate ci rivelano che il Grande Fratello yankee ci intercetta. Bene. Ma cosa fanno le forze di sicurezza e i servizi segreti italiani per non farsi intercettare?

Perché non è molto rassicurante sapere come gli 007 Usa sono riusciti a piazzare le loro cimici nell’ambasciata italiana a Washington. Guido Olimpio sul Corriere della Sera fa una lunga premessa, forse per attutire l’impatto imbarazzante della notizia:

“L’ambasciata italiana a Washington è un bell’edificio, circondato dal verde. Si affaccia su una piccola strada in leggera salita e senza uscita, Whitehaven Street, nella zona nordovest della capitale. […] Circondata da un muro, la nostra ambasciata sorge in un’area sensibile. Davanti c’è quella del Brasile, poco più avanti una fila di belle case, compresa quella dell’ex segretario di Stato Hillary Clinton. Una buona vicina, talvolta ospite quando si celebra la festa dell’isolato. Ad un chilometro di distanza vive, nel Number One Observatory Center, il vicepresidente John Biden. […]

Agli uomini della Nsa è bastato l’invito a una festa in ambasciata per piazzare le cimici:

“Per violare la nostra le spie possono aver sfruttato uno dei tanti ricevimenti. Gli inviti all’ambasciata sono sempre graditi. Dagli americani e dagli stranieri che vivono a Washington: è un bel posto, gli eventi sono interessanti e il cibo è ottimo. Una talpa ha colto l’occasione di un party per salire negli uffici del primo piano? E’ qui, lungo un corridoio ad anello, che si aprono gli uffici, compreso quello del nostro ambasciatore Claudio Bisogniero. […] Possibile anche che l’intelligence Usa si sia servita di un visitatore. La palazzina non è un bunker, è relativamente accessibile, a tenerla d’occhio i carabinieri insieme a guardie private, metal detector, telecamere. Difesa tradizionale che si integra con altre forme di tutela.

«Tutte le nostre sedi all’estero vengono sottoposte ad attività di bonifica per scoprire eventuali microspie. Un compito che ricade sui servizi d’intelligence e sull’Ucs, Ufficio centrale di sicurezza, unità che dipende dalla presidenza del Consiglio», spiega una nostra fonte che si muove spesso tra le due sponde dell’Atlantico. «I controlli vengono svolti ogni tanto».

Ecco, le nostre ambasciate non sono blindate. Ma non è che lo Stato italiano non spenda nulla per difenderle. L’ex ministro Giulio Terzi, a lungo ambasciatore italiano a Washington, non si mostra stupito, forse per solidarietà con il corpo diplomatico e i servizi segreti italiani:

«E’ stato sgradevole. Ma non mi sono venuti i brividi. Ogni diplomatico, per quanto ingenuo o a inizio carriera, sa che gli può accadere di essere spiato».

Mette le mani avanti anche, l’ambasciatore Giampiero Massolo, direttore del Dis, la struttura che sovrintende sulle attività dei nostri servizi segreti in patria (Aisi), e all’estero (Aise). Intervistato da Guido Ruotolo per La Stampa afferma che “Non siamo in grado di smentire o confermare una attività di spionaggio delle nostre ambasciate”:

“Non si sbilancia, Massolo. Si limita a sottolineare l’impegno assunto dal presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, a «chiarire» quello che è successo. «Abbiamo chiesto chiarimenti – ha detto Massolo – aspettiamo risposte».
È proprio il Dis, Dipartimento informazioni per la sicurezza, che ha il compito di vigilare contro le possibili intrusioni del grande fratello nelle nostre sedi di rappresentanza diplomatica. Evidentemente cautela e imbarazzo nascono da una evidente incapacità di garantire effettivamente la sicurezza delle nostre sedi.

[….] L’ambasciatore Massolo ha lasciato intendere che non crede nella possibilità che le nostre rappresentanze diplomatiche possano essere state violate con gli strumenti classici, come le cimici, dal momento che sono «ben protette».

[…] si è discusso anche la notizia di 300.000 accessi a banche dati, da parte della nostra intelligence, dell’Aisi, dell’Aise, i servizi segreti interni ed esteri, e del Dis. L’ambasciatore Massolo ha ricordato che questa raccolta dati era già stata segnalata nella recente relazione semestrale dei Servizi al Parlamento. E non riguarda, per dirla con il presidente del Copasir Stucchi, «nessun passaggio illegale di dati dall’Italia agli Stati Uniti»”.

Il problema della scarsa protezione delle nostre ambasciate da eventuali intrusioni di spie straniere resta. I nostri servizi segreti non sono mai stati un modello di efficienza. Ma, se è possibile, la situazione sembra peggiorata negli ultimi anni. È auspicabile che non si cerchi di invertire la tendenza solo con ulteriori stanziamenti di spesa.

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