Si dimette anche Boni: Regione Lombardia, la fabbrica degli inquisiti

Davide Boni mentre presiede il Consiglio Regionale (LaPresse)

ROMA – La Lombardia è ancora un consiglio regionale o l’anticamera della colonia penale? Le dimissioni del presidente del Consiglio regionale lombardo, il leghista Davide Boni, servono perlomeno a distinguere, tra gli attuali nove indagati a vario titolo, chi preferisce rimettere il mandato e chi si ostina a difendere ad ogni costo la poltrona. Al di là dei teoremi tipo il sistema Pdl-Lega di spartizione delle tangenti, è impressionante il numero di assessori, ex assessori, consiglieri, presidenti, vicepresidenti finiti in disgrazia all’ombra del Pirellone e sotto la guida dell’immarcescibile Roberto Formigoni, vincitore ad ogni battaglia elettorale per vent’anni ma costretto all’arroccamento totale per gli schizzi di fango che ormai quotidianamente lambiscono la sua candida veste.

E per fortuna che sono intervenuti vari rimpasti nel governo della regione perché altrimenti invece dei soliti nove dovremmo parlare dei sostituti che rimpiazzano gli inquisiti che poi vengono regolarmente inquisiti a loro volta. Come nel caso dell’ex assessore allo Sport Piergianni Prosperini, ex leghista passato ad An e arrestato in diretta tv nel 2009 per ordinarie vicende di corruzione: confessò, patteggiò tre anni e cinque mesi, ci ricascò, ma la Regione non se la sentì di costituirsi parte civile. Al suo posto, esito imprevedibile degli ultimi rimpasti, si è seduta Monica Rizzi, precocemente indagata anche lei questa volta  dalla procura di Brescia per trattamento illecito di dati personali. La badante in regione del Trota aveva messo su, secondo i magistrati, un’attività di dossieraggio per colpire i nemici all’interno del suo stesso partito e favorire l’elezione in consiglio regionale di Renzo Bossi, nel 2010. Come Boni, prima di Boni, si è dimessa.

Altra staffetta edificante quella tra Franco Nicoli Cristiani e Filippo Penati, divisi dalla maglia di partito ma uniti dalle accuse di corruzione per cui sono entrambi indagati mentre, prima l’uno, poi l’altro, erano in carica come vicepresidenti del Consiglio Regionale. Penati si distingue anche per la raffinatezza del passo indietro: si è autosospeso da vicepresidente ma resta in carica da consigliere. Tra gli assessori colpiti dal morbo regionale Daniele Belotti, leghista e ovviamente dimessosi da assessore al Territorio: per lui un’accusa di associazione a delinquere. Romano La Russa, fratello del più noto Ignazio, è stato invischiato in una storia di finanziamento illecito al suo partito, il Pdl, mentre era assessore alla Protezione Civile. Il 16 gennaio 2012 è toccato a Massimo Ponzoni, consigliere segretario dell’ufficio di presidenza, vicinissimo a Formigoni, Mr Preferenze e più volte assessore: corruzione e concussione. I semplici consiglieri Pdl Angelo Giammario e Gianluca Rinaldin devono rispondere anch’essi di di corruzione e finanziamento illecito ai partiti. Last but not the least Nicole Minetti, a 27 anni già consigliere regionale e già indagata per induzione e favoreggiamento della prostituzione: resta in Consiglio ma deve dimostrare che quando si vestiva da suora sexy per un primo ministro non lo faceva per soldi o altre utilità. A differenza di Renzo Bossi è rimasta in carica: il Trota ha preferito, come ordinato dal padre e dal tribunale di piazza leghista che il suo tempo alla regione era già finito. Ma perché si era stufato, sia chiaro.

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Warsamé Dini Casali