
Ddl Concretezza, impronte digitali a scuola. Presidi in rivolta: "Ingiusta umiliazione"

ROMA – Presidi in rivolta contro il ddl concretezza. A farli infuriare una norma contenuta nel decreto della ministra Giulia Buongiorno che impone l’obbligo di rilevare le impronte digitali al loro ingresso a scuola. In una lettera al governo i dirigenti scolastici si rivolgono direttamente ai due vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini definendo l’obbligo “vessatorio e incostituzionale” oltre che una “ingiusta umiliazione”.
Il decreto che punta a sconfiggere l’assenteismo nelle pubbliche amministrazioni, equipara il lavoro del dirigente scolastico (sono esclusi i docenti) a quello di qualunque altro impiego statale, vincolandolo ad un orario da certificare con le impronte digitali.
Una misura che, a detta dei presidi, denota “grave sfiducia, se non aperta ostilità” nei confronti della dirigenza pubblica. “La sfiducia – sostengono i presidi – deriva dal fatto che i dirigenti sono preposti per legge alla supervisione ed al controllo dell’orario di lavoro dei dipendenti che non hanno qualifica dirigenziale. Come sarebbe possibile adempiervi serenamente, se le amministrazioni pubbliche datrici di lavoro esigessero dai dirigenti lo stesso obbligo che essi devono, a loro volta, esigere dal restante personale?”.
Per quanto riguarda i dirigenti scolastici, inoltre, “la disposizione finalizza il controllo alla verifica dell’accesso. Ma, poiché le norme antinfortunistiche equiparano i Presidi ai datori di lavoro sotto il profilo penale e li rendono garanti dell’incolumità di tutte le persone presenti negli ambienti scolastici, essi devono controllare l’accesso a tali ambienti da parte di chiunque. Si ripropone il paradosso del controllore che deve essere a sua volta sottoposto allo stesso controllo”.
I dirigenti scolastici ne fanno anche una mera questione di ordine pratico: “A ciò si aggiunga che molte scuole sono articolate in più sedi, distanti anche chilometri tra loro. Dovrebbero essere installati rilevatori d’accesso in ogni sede? E a quali costi?”
L’ostilità, invece sottolineano, “deriva dal fatto che la prestazione di lavoro dirigenziale è espressamente finalizzata al raggiungimento di predeterminati obiettivi e ha quindi natura di obbligazione di risultato. Di conseguenza, la quantità di tempo trascorso in ufficio non ha alcun rilievo, tant’è vero che nessun contratto collettivo dirigenziale – né pubblico, né privato – prevede un orario di lavoro e quindi i dirigenti non hanno alcun vincolo orario”.
Se infatti un dirigente pubblico non raggiunge i risultati prefissati, incorre nella responsabilità dirigenziale prevista dall’articolo 21 del d.lgs. 165/2001 e rischia il licenziamento.
Per la vice presidente dei senatori Pd, Malpezzi, “il governo, invece di occuparsi dell’istruzione attraverso gli investimenti, getta fumo negli occhi dell’opinione pubblica con misure che certificano sfiducia e ostilità verso dei servitori dello Stato”. (Fonte: Anp)