E’ una vecchia questione, vecchia come un maglione slabbrato: a tirarli fuori entrambi, il maglione e la questione, ci si fa la figura dell’eccentrico sciatto, del noioso fuori moda. La questione sarebbe, anzi era: un uomo “pubblico” che ha comprensibilmente diritti diversi e talvolta più estesi dell’uomo “comune” deve avere anche doveri diversi e più vincolanti? Per carità, niente “questione morale”: non ci sono pulpiti da cui impartire prediche e lezioni e quelli che sono in attività sono pulpiti truccati.
Diciamo che è questione di responsabilità, parola di fronte alla quale la società, sia quella politica che quella civile che quella televisiva hanno sviluppato una condivisa ignoranza allergica. Dunque, a costo di farsi venire le bolle sull’epidermide del comune sentire e della vita reale, l’uomo e la donna “pubblici” hanno o no una responsabilità che il cittadino comune non è tenuto ad avere nella stessa quantità e qualità?
Tre esempi tratti dalla cronaca recente, tre risposte alla domanda. Domanda che a suo tempo si pose Totò dividendo la nostra umanità in “Uomini e caporali”. Flavio Delbono a suo tempo è vicepresidente della Regione Emilia-Romagna. si innamora e si fidanza con una sua dipendente, Cinzia Cracchi diventa la sua fidanzata. C’era una qualche sua dovuta “responsabilità” che avrebbe dovuto assumersi e osservare nella vicenda? Il suo sacrosanto diritto di innamorarsi e fidanzarsi doveva a suo modo “sposarsi” e fare i conti con una pubblica responsabilità?
A suo tempo Delbono pensò che questa responsabilità non c’era. Prima ancora di sapere o se abbia portato la sua fidanzata-segretaria in giro per il mondo a spese della Regione, la questione era altra: può l’uomo pubblico, investito del potere di decidere, decidere appunto dove e come lavora la sua compagna di vita nell’ambito della Pubblica Amministrazione? A suo tempo Delbono decise che poteva e infatti decise dove e come doveva lavorare la Cracchi.
Poi, solo poi, quel che a lui appariva normale e quel che ancora risponderebbe sia normale se glielo domandassero, diventa caso politico. E Delbono, nel frattempo diventato sindaco di Bologna, si dimette dalla carica. Non perché sia convinto, lo dice, di aver omesso o mancato a pubblica responsabilità. Ma proprio in nome di altra e diversa responsabilità pubblica: si dimette per non recar danno alla sua città e alla sua parte politica.
Delbono, che non avverte nessuna responsabilità civile violata od omessa nell’essere il capo della sua fidanzata pubblica dipendente, che non si astiene dal decidere della sua carriera, si dimette per responsabilità civile nei confronti della cittadinanza e comunità di partito. Ognuno giudichi, se può. Dove sta o comincia l’errore etico, se lo trova e se c’è. E dove sta la riparazione allo sbaglio, il soprassalto di responsabilità, se lo vede.
Nicola Cosentino è sotto segretario del governo in carica e parlamentare della Repubblica. Un giudice dopo lunghe indagini ne ha chiesto l’arresto. Il Parlamento lo ha negato. Gli avvocati di Cosentino si sono rivolti alla Cassazione perché “cassasse” la richiesta d’arresto. La Cassazione lo ha invece confermato spiegando che Cosentino aveva nei fatti contratto un “debito di gratitudine” con la criminalità organizzata di Casal di Principe, debito che aveva costantemente onorato durante e per mezzo della sua attività di uomo pubblico.
Cosentino non si è dimesso, fosse stato per lui oggi sarebbe candidato del Pdl a governatore della Regione Campania. Cosentino invoca e sente una sola responsabilità: quella verso chi lo ha eletto. Se lo votano, quel voto lo esime da ogni altra responsabilità. E’ Cosentino, nella sua cultura e nel suo sentire, “uomo pubblico” proprio in questo e solo in questo: sottoposto al solo giudizio dei suoi elettori. Per lui non c’è altra opportunità civile e civica che “resistere” all’accusa, all’incidente di percorso politico. Ognuno giudichi e rintracci, se c’è, l’etica della responsabilità di Cosentino.
Carro Sarro e Vincenzo Nespoli non hanno a quanto è dato sapere nessun guaio pregresso o futuribile, massiccio o minuscolo con la giustizia. Sono parlamentari entrambi del Pdl. Hanno presentato un emendamento di legge che consente di sanare tutti gli abusi edilizi, tutte le case abusive costruite fuori legge fino al dicembre 2003. Propongono questo in un’Italia dove di case abusive e quindi insicure si muore, dove le abitazioni abusive, per così dire “ufficialmente censite” sono più di un milione.
Sarro e Nespoli sono la speranza dichiarata dei trecento e dei tremila che a Ischia si oppongono con rivolta di piazza alla legge e alla demolizione delle case abusive. A Ischia dove ogni due anni in media un temporale più grosso degli altri le case abusive le impasta con il fango del costone e se le porta giù a mare. Sarro e Nespoli sentono la sola e primaria responsabilità di soddisfare la “loro gente”. Sarro e Nespoli sono orgogliosamente e dichiaratamente irresponsabili verso ogni regola che non sia quella del bisogno immediato della tribù sociale di appartenenza.
Ognuno giudichi, secondo sua ragione più che secondo sua coscienza, se Sarro e Nespoli sono il prototipo, l’esempio e la felice forma materiale dell’uomo pubblico contemporaneo, quello che la gente vuole, o non siano invece la negazione, l’antitesi e infondo la fine do ogni possibile passabile idea di uomo pubblico.