Le grandi manovre per il digitale terrestre sono in pieno svolgimento. Anche se tutti lo danno per realizzato, il cammino è in realtà è ancora lungo anche se il traguardo si avvicina, come nel migliore interesse di Silvio Berlusconi, presidente – editore, proprietario del primo network televisivo italiano e anche capo del Governo italiano. L’interesse, sul quale pochi si soffermano, è che, a tutt’oggi, il processo di conversione della trasmissione della tv italiana dal mezzo analogico al digitale terrestre non si è ancora compiuto e ciò fa venire meno una delle premesse della legge Gasparri, la cui finalità fondamentale è quella di svuotare la minaccia rappresentata dalla Corte costituzionale con la sua, fastidiosissima per Berlusconi, ossessione per il pluralismo.
La linea coerentemente tenuta dalla Corte in materia di pluralismo in tv non è una invenzione di giudici comunisti che ce l’hanno con Berlusconi, ma una costante che risale al 1960, agli anni dei monocolori democristiani. Ma questo forse vuole dire poco per chi, come Berlusconi, potrebbe venire chiamato a terminare il regime di provvisorietà che dura da quasi 20 anni grazie al quale gli è stato consentito di non trasmettere la sua amata Rete4 via satellite. Questo proprio sul filo di lana, quando, grazie alla forzatura impressa dalla Rai, il digitale terrestre comunque sta diventando una realtà.
La situazione italiana è più complessa che altrove, per ragioni storiche. La prima è costituita dalla totale integrazione verticale degli operatori, figlia di scelte fatte agli inizi degli anni ’90, che porta alla coincidenza tra proprietà degli impianti e diritti d’uso delle frequenze. Invece, negli altri Paesi soggetti diversi gestiscono gli impianti garantendone l’accesso ai detentori delle frequenze.
In secondo luogo, l’Italia ha sofferto della presenza, nell’ambito dell’uso dello spettro, delle applicazioni per uso militare: importanti porzioni di banda sono state assegnate a esigenze della difesa, in modo non omogeneo e spesso frammentario.
Infine, la gestione delle frequenze e, in particolare, le modalità di allocazione dello spettro sono avvenute contravvenendo alle norme comunitarie, come è stato rilevato dalla Commissione europea in sede di procedura infrazione contro la legge Gasparri e dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea con la sentenza sul caso Europa 7. Quando è arrivata la legge Mammì, la prima che regolamentò il Far west televisivo, ormai era troppo tardi.
L’Italia è stata, tra l’altro, uno dei Paesi nei quali meno si è posto il problema del coordinamento internazionale e per lungo tempo, salvo alcuni impianti principali della Rai coordinati già dall’inizio degli anni Sessanta, la proliferazione degli operatori privati locali e nazionali è avvenuta in totale assenza di coordinamento e, soprattutto, secondo un principio di occupazione senza regole dell’etere.
La situazione ora è obiettivamente ingarbugliata da un nuovo elemento, l’aggressività concorrenziale di Sky, la tv satellitare di Rupert Murdoch, che si è vista riconoscere dalle autorità europee il diritto a partecipare alle gare per l’assegnazione di reti di digitale terrestre.
Tutto questo ha fatto scattare l’allarme rosso nel partito – azienda e ha fatto diventare cruciale, per la fiducia di cui gode presso Berlusconi, il ruolo di Paolo Romani, viceministro allo Sviluppo Economico, con delega alle Comunicazioni. Romani, tra l’altro, sembra attualmente il favorito per diventare ministro al posto del dimissionario Claudio Scajola, se Berlusconi non dovrà usare quella poltrona per le sue grandi manovre in stile giolittiano.
Ecco che allora ci sono due domande che bruciano: 1. Quando il governo deciderà di istituire il bando per regolamentare le frequenze del digitale terrestre attraverso i cinque multiplex? 2. Che c’è di vero nell’accusa da molti formulata che il Governo presieduto da Berlusconi avrebbe favorito Mediaset, proprietà di Berlusconi, assegnando all’azienda uno dei multiplex prima che fosse espletata la gara che invece è prevista in questo caso? La concessione sarebbe stata data, in via temporanea, per trasmissioni sperimentali in alta definizione, sul canale 58, frequenza 770 mhz, dallo stesso Romani di cui sopra, su richiesta formale presentata da Mediaset in piena estate. Penso che sia tutto vero, ma Romani, con cardinalizio distinguo, si è affrettato a negare il favoritismo: “Nessun regalo è stato fatto a Mediaset. Si tratta solo di un provvedimento assolutamente legittimo, sulla base di quanto prevede il codice delle comunicazioni elettroniche, finalizzato a consentire la sperimentazione di tecnologie avanzate e di servizi innovativi a beneficio dell’utenza, ad un uso efficiente dello spettro radioelettrico e a proteggere un patrimonio di risorse frequenziali, attualmente inutilizzato, da possibili occupazioni abusive”.
C’è di più, secondo Romani: “L’autorizzazione [è stata] già concessa ad altri soggetti”, come la Rai, ed è “eventualmente ottenibile da chiunque con i dovuti requisiti e per gli stessi fini sperimentali ha peraltro una durata estremamente limitata, essendo legata come termine finale all’imminente emanazione del bando di gara per l’assegnazione del dividendo digitale”.
L a domanda più pressante, però, resta la prima: quando metterà a gara i cinque multiplex per la televisione digitale terrestre. L’Autorità Garante per le Comunicazioni (Agcom) ha già fatto la sua parte, prevedendo un‘ asta pubblica per il dividendo digitale e una gara per l’assegnazione di cinque multiplex, come è avvenuto o sta avvenendo nella grande parte dei paesi occidentali.