ROMA – Elezioni anticipate subito: Renzi vuol far fruttare il “suo” 40% di Sì. Per ora siamo alle “dimissioni congelate”, per cui il Governo Renzi è precettato almeno fino alla rapida approvazione della legge di bilancio, la “scadenza” non aggirabile imposta dal Presidente della Repubblica Mattarella. Ma, sbollite delusione e voglia di fuga (“me ne vado sei mesi negli Usa”, avrebbe minacciato Renzi in un momento di sconforto) il grande sconfitto medita un piano per trasformare la debacle in riscossa: elezioni anticipate il prima possibile.
A gennaio, o febbraio, lasciando aperta l’ultima finestra utile, con l’Italicum rivisto ed emendato dall’imminente sentenza della Corte Costituzionale per la Camera, e il proporzionale con sbarramento al Senato (il cosiddetto Consultellum). Bisogna partire da una cifra chiave: quel 40% dei Sì che ha sancito la sconfitta referendaria e che però è da intestare tutto al Pd e in special modo a Renzi.
Un capitale politico da valorizzare subito, senza perder tempo in inutili governi tecnici o di scopo che avrebbero il solo effetto di prosciugarlo quel patrimonio in voti: “Non lascio la bandiera del voto anticipato a Grillo e agli altri – le parole di Renzi, secondo la Repubblica – Se lo facciamo il Pd è morto, fa la fine che ha fatto dopo aver appoggiato il governo Monti”. Il cronista politico de La Stampa, Fabio Martini restituisce le parole che Renzi ha pronunciato davanti a un capannello di ministri.
“Per come si è svolta la campagna referendaria e poi il voto, io credo che quel 40% “appartenga” tutto al Pd. Il Sì ha ottenuto più di 13 milioni di voti e quindi circa 2 milioni in più rispetto a quelli ottenuti alle Europee. Per questo vi dico che a noi potrebbe convenire puntare ad elezioni anticipate, da fare il prima possibile. Con quale governo? Con questo!”. (La Stampa)
Si tratta di un piano ambizioso e gravato da tante, troppe incognite: primo, allontanare la prospettiva congressuale all’interno del Pd che allungherebbe i tempi, quindi assicurarsi l’appoggio o la non belligeranza delle correnti più forti, una per tutte quella centrista di Dario Franceschini che si è già candidato per guidare la transizione governativa. Ma per questo deve abbandonare l’idea (lo conferma Maria Teresa Meli sul Corriere della Sera) di lasciare anche la segreteria del Pd.