Proprio nell’anno in cui il presidente del Consiglio avvia una complicata separazione da Veronica Lario, il Parlamento si ricorda di una serie di progetti per accelerare il divorzio. Anche per Berlusconi, probabilmente, i tre anni di attesa che devono passare dalla prima sentenza al divorzio definitivo sono troppi ed ecco che in Commissione Giustizia, alcuni suoi uomini tentano di spingere per portare avanti dei progetti di legge che modifichino l’attuale diritto di famiglia.
Il senso delle nuove proposte potrebbe sintetizzarsi così: un anno per dirsi addio per sempre. Un’iniziativa trasversale, visto che i testi in discussione sono presentati da esponenti sia della maggioranza che dell’opposizione. Uno è di Maurizio Paniz, del Pdl, che è anche relatore del provvedimento; un altro è di Marcello De Angelis, sempre del Pdl, sostenuto anche dai colleghi di partito Giampiero Catone, Fabio Gava ed Enzo Raisi; l’ultimo di Sesa Amici, del Pd.
Caposaldo di tutte e tre le proposte la possibilità di ridurre a un anno il tempo di separazione ininterrotta necessario per poter accedere al divorzio, modificando l’attuale disciplina che invece fissa in tre anni tale termine. Un periodo che decorre dalla comparsa dei coniugi in tribunale per l’avvio della separazione personale con l’autorizzazione del giudice a vivere separati, anche se per la giurisprudenza la causa di divorzio può iniziare solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, benché sul solo addebbito.
I testi elaborati dai deputati del Pdl prevedono tuttavia delle differenziazioni in rapporto all’eventuale presenza dei figli e alla loro età . Così per Paniz deve restare l’attuale termine di tre anni se ci sono minori, mentre la proposta di De Angelis riduce ulteriormente il termine a sei mesi in assenza di figli o in presenza di figli maggiori di 14 anni, mentre lo prevede di un anno se l’età dei figli non supera i 14 anni.
Altra discrimante importante prevista dalla proposta di Paniz, è la possibilità del cosiddetto divorzio breve soltanto in presenza di separazione consensuale, compreso il caso in cui il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale. Infine tutti e tre i progetti di legge prevedono di anticipare lo scioglimento della comunione al momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati.
«La realtà odierna – spiega Paniz – ci dice che il termine di tre anni, dall’inizio della separazione, per lo scioglimento del matrimonio, non serve in alcun modo come deterrente per la prosecuzione di esperienze di coppia ormai logorate e invece funziona come intralcio per la formalizzazione delle ulteriori scelte di vita che nel frattempo sono maturate. Anche una parte delle istanze che si riferiscono al riconoscimento giuridico delle coppie di fatto sono legate a queste situazioni necessitate, in cui la convivenza, di fatto, non è una scelta, ma un comportamento obbligato rispetto alle rigidità della legge».
«Per questo, pur confermando la necessità che intercorra un periodo di tempo tra la separazione e lo scioglimento e il tentativo di conciliazione affidato al giudice, appare opportuno – aggiunge Amici – diminuire a un anno il periodo di durata della separazione ai fini dello scioglimento del matrimonio».
«Il divorzio – sottolinea De Angelis – non ha posto in alcun modo in pericolo la stabilità del vincolo matrimoniale, ma si è configurato semplicemente per quello che è, cioè una via d’uscita, auspicabilmente dignitosa, da situazioni di vita coniugale non altrimenti risolvibili».
«Se dunque è certo che il divorzio si pone solo come rimedio specifico al fallimento di singole vicende di vita, e non come un proposito di attentato sociale alla stabilità dell’istituto matrimoniale, occorre di conseguenza – prosegue l’esponente del Pdl- che non siano aggravate le situazioni personali nelle quali vengono a trovarsi coloro che, a volte anche non certo per propria scelta, sono nella condizione di dover intraprendere questo difficile cammino».
«L’impianto normativo sino a oggi vigente non dà accettabili risposte ed è conseguentemente solo punitivo, giacché individua il momento dello “strappo” tra i coniugi in quello del divorzio, e non già – come in realtà è – in quello della separazione. Il nuovo modello proposto, viceversa, parte dall’assunto che se uno “strappo” si è verificato ciò è avvenuto ben prima dell’accesso dei coniugi davanti al magistrato per la pronuncia di separazione e che da quel momento non vi sarà più rimedio possibile (tantomeno attraverso un passivo decorso di tempo), come del resto ci hanno dimostrato ben 39 anni di esperienza pratica, con la conseguenza che tanto vale allora accelerare il recupero di libera espressione di capacità affettiva da parte degli interessati e scommettere sulla loro conseguente voglia di una nuova famiglia».
