Federalismo, cinque Regioni “esenti”: incassano ma non pagano. Sicilia, Sardegna, Friuli, Val d’Aosta, Alto Adige

ROMA – E’ quasi fatta. Dopo anni di battaglie, soprattutto leghiste, il federalismo sembra essere in dirittura d’arrivo. Mancano solo i decreti attuativi e poi questa grandiosa riforma che contribuirà ad eliminare gli sprechi e premiare i più virtuosi sarà realtà. Peccato che non varrà per tutti. Sarà applicato a sole 15 regioni su 20. Le 5 regioni a statuto speciale non dovranno infatti attenersi alle regole imposte dal federalismo.

Possibile che nessuno se ne sia accorto sino ad ora? Possibile che in Parlamento nessuno abbia pensato di porre rimedio a questo squilibrio normativo? Difficile crederlo, più facile pensare che si sia preferito non pubblicizzare, se non tacere del tutto, quest’eccezione. Se federalismo sarà, non sarà per tutti quindi. La grandiosa riforma renderà federalista il 75% dell’Italia, una regione su quattro. Per carità, meglio di niente obietteranno i sostenitori della riforma, ma andrebbe ammesso che l’Italia varerà un federalismo zoppo. Nonostante un paradosso: sulla carta le Regioni a statuto speciale sono già federaliste, se con questo s’intende trattenere sul territorio le tasse che lì vengono prodotte. Esattamente quello che accade in Sicilia, Sardegna, Friuli-Venezia Giulia, Valle d’Aosta e nelle due Province di Trento e Bolzano, per un totale di 9 milioni di abitanti, il 15% dell’intera popolazione italiana. Anche se con differenze notevoli. Alle Regioni autonome del Nord le imposte pagate dai loro cittadini bastano e avanzano. In Sicilia e Sardegna, no. Nel 2008 lo Stato ha dovuto versare in più 508 milioni alla Sardegna e 2,3 miliardi alla Regione siciliana.

Una situazione che è destinata a continuare, come ha denunciato Salvatore Bilardo ispettore capo della Ragioneria che in un’audizione in Commissione Bicamerale ha detto: “L’eliminazione delle inefficienze e delle storture in materia di finanza pubblica, cui è finalizzato il processo di federalismo fiscale, non può che riguardare l’intero territorio nazionale”. Considerazione che ha provocato la replica stizzita (“È il ministro che deve parlare di politica, non la Ragioneria”) del presidente della Commissione Enrico La Loggia, siciliano, nonché nipote dell’omonimo uomo politico che fu fra i fondatori dell’autonomia regionale della Sicilia. Destinata a continuare perché le Regioni a statuto speciale sono escluse dal meccanismo principale, quello dei cosiddetti “costi standard”, che d’ora in poi dovrà sostituire il sistema della “spesa storica” con il quale lo Stato rimborsa a piè di lista i governatori, e destinata a continuare perché l’autonomia di queste sei entità è prevista dalla Costituzione.

Regioni autonome con regole proprie, su tutto o quasi. I sindaci di queste Regioni, ad esempio, non saranno tenuti ad applicare l’Imu, Imposta municipale unica, architrave del federalismo comunale. Regole proprie in alcuni casi ben sfruttate che attirano addirittura i comuni vicini, come nel caso dei comuni della Provincia di Belluno che hanno promosso un referendum per staccarsi dal Veneto e passare alla Provincia di Bolzano. Attirati, evidentemente, dagli enormi vantaggi economici come i contributi stratosferici, con finanziamenti a fondo perduto fino all’80% dell’investimento, concessi dall’Alto Adige agli albergatori. E attirati dagli stipendi astronomici, se confrontati con il resto d’Italia, che toccano agli amministratori locali. Al sindaco di Bolzano spettano 12.400 euro lordi al mese, quasi il doppio del sindaco di Roma, e al governatore dell’Alto Adige Luis Durnwalder, apertamente refrattario ai festeggiamenti per i 150 anni dell’unità d’Italia, toccano circa 320 mila euro lordi l’ anno, 36 mila più di Barak Obama. Regole proprie che altrove non sono così ben sfruttate, tanto da generare deficit enormi come in Sicilia, anche se consentono la sopravvivenza dell’economia locale che a Palermo si fonda e si regge su una pubblica amministrazione elefantiaca e spendacciona. Nell’isola mantenere l’autonomia significa poter alimentare un sistema assistenziale onerosissimo, con un numero di dipendenti regionali abnorme (oltre 21 mila unità) che costano 1,7 miliardi di euro l’ anno: più del 70% di quanto spendono tutte le altre Regioni italiane. Ognuno di loro percepisce uno stipendio medio di 42.500 euro l’anno, superiore del 40% a quello dei ministeriali. Ma va in pensione molto prima e con un assegno medio di 2.472 euro al mese.

Il cuore del problema, e non soltanto delle amministrazioni regionali autonome, è la sanità, che assorbe oltre l’80% della spesa delle Regioni. Una cifra gigantesca, pari a 106,5 miliardi nel 2011, che cresce ogni anno, ma che non basta mai, perché alcune regioni continuano ad accumulare deficit. Anche questa partita, come quella delle spese delle amministrazioni comunali, si dovrebbe finalmente risolvere con l’applicazione del federalismo e dei famosi “costi standard”. Se il prezzo di un termometro è, poniamo, di 1 euro, lo Stato rimborserà solo quella cifra, e chi vorrà spendere di più dovrà trovare da solo i fondi. Un problemino mica niente, soprattutto in certe realtà meridionali. Non a caso i governatori del Mezzogiorno, a prescindere dal colore politico, hanno alzato le barricate contro i loro colleghi del Nord, ingaggiando un durissimo braccio di ferro sul riparto delle risorse 2011. Finora i criteri fondamentali sono stati l’età e il numero dei residenti. Per quest’anno i governatori meridionali chiedono che si tenga conto anche dell’ “indice di deprivazione”. Più si è poveri, sostengono, più ci si ammala. La trattativa, iniziata a dicembre, è tuttora arenata, e la spaccatura fra Nord e Sud non è certo un buon viatico per il processo federalista che già deve scontare l’esclusione delle Regioni a Statuto speciale dalla tagliola dei costi standard, quindi l’esclusione della Sicilia. Riprendiamo un esempio citato dal Corriere della Sera su come viene gestita la sanità a Palermo. E’ la storia del servizio di ambulanza del 118, raccontata in una tragicomica relazione della Corte dei conti. Nei primi quattro anni il costo della convenzione con cui la Regione aveva appaltato il servizio alla Croce Rossa è salito da 10 a 120 milioni di euro. Le ambulanze sono aumentate dalle originarie 157 a 280. Il numero degli autisti soccorritori è lievitato da 1.570 a 3.009. E adesso che la convenzione è stata disdetta, sono diventati 3.319, di cui 222 amministrativi, e non c’è e non ci sarà federalismo che agisca su queste follie. Almeno non quello che il Governo sta per varare.

Già, il Governo, e con lui tutta la politica locale, che oltre ad aver fatto finta che il federalismo fosse per tutti non ha mai inserito nei decreti legislativi in discussione il tema dei costi della politica, nonostante sia una delle maggiori fonti di spreco delle Regioni italiane, seconda sola alla sanità. Assemblee spesso pletoriche, talvolta addirittura più costose, in rapporto ai loro componenti, del Senato della Repubblica, come avviene per esempio in Sicilia. Soprattutto, con regole assurde, come quella che consente l’esistenza nei consigli regionali di gruppi composti da una sola persona, il suo presidente, al quale spetta, secondo le Regioni, anche l’auto blu e uno stuolo di assistenti, oltre a un congruo aumento di stipendio.

Una domanda sorge spontanea, era questo il federalismo che la Lega, anzi la base della Lega voleva?

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