ROMA – Su “L’Unità”, fino a prova contraria giornale di sinistra, è apparso il 28 giugno un’editoriale firmato da Loretta Napoleoni, fino a prova contraria economista di sinistra, molto di sinistra. Si sosteneva in buona sostanza che l’Italia e gli italiani non devono impiccarsi a ridurre e ripagare il debito pubblico nazionale, devono invece “ripudiarlo” questo debito contratto dalla finanza e non dal popolo, quindi uscire dall’euro e dall’Europa e smetterla di obbedire ai mercati finanziari. A margine e contorno, ma non tanto, della domenica di scontri intorno ai cantieri della Tav, Beppe Grillo ha sostenuto che “il futuro è in merci che viaggiano più lente e in una regionalizzazione dell’economia”. Fuochi d’artificio di un conversare e polemizzar disinvolto o punte emergenti di un vasto e profondo pensare? La seconda che hai detto, direbbe Corrado Guzzanti. La seconda ipotesi è quella vera: più militante, alternativa e combattiva è e più la sinistra sogna di spezzare le catene del presente per rifugiarsi nel “sol del… passato”.
La sinistra di Vendola e della Fiom, la sinistra dei “movimenti”, buona parte della gente di sinistra e parte rilevante della sinistra sindacale e politica, dentro la Cgil e dentro il Pd, non accetta e non tollera il presente e il reale. Si dice e si vuole anti “globale” e pure anti capitalista almeno nella forma “degenerata” del turbo capitalismo finanziario. E, per battere globalizzazione e finanza “ripudia” il debito pubblico e le sue conseguenze. Di fatto propone un ritorno ad un’economia mondiale, o almeno nazionale, in cui i debiti non si pagano mai perché si rinnovano sempre, di generazione in generazione. Pagare il debito è “macelleria sociale”, quindi debito eterno: questa e non altra è la ricetta, il rifugio, l’alternativa, la speranza.
Fine debito mai e mondo rallentato: gli alimenti a chilometri zero alla Carlo Petrini, ibrido tra il recupero della vecchia e sana agricoltura e le brioches in mancanza di pane di Maria Antonietta, stop alla biochimica, alla biotecnologia, ai treni veloci, alle autostrade, ai grandi porti, alle infrastrutture inutili”. Diffidenza verso la scienza che produce Frankenstein, sospetto verso la tecnologia sempre inquinata dalle “multinazionali”. Fosse solo una torsione culturale quella per cui il pensar di sinistra nell’occidente ricco e in crisi si fa pensar statico-conservatore, la questione riguarderebbe la pur importante storia delle idee e delle culture.
Purtroppo questa torsione non è solo accademica, è anche politica e sociale. La sinistra in Italia tra un anno o due potrebbe andare al governo. Oggi comprensibilmente lamenta che la manovra Tremonti scarica sulle spalle del futuro governo il peso della salvezza finanziaria del paese. Vero, ma la sinistra dovrebbe esserne orgogliosa e non lamentosa. Quale migliore occasione per ridisegnare in meglio i connotati di una società storta? Ma la sinistra, i suoi partiti e la sua base sociale, non sembrano voler ridisegnare un bel nulla. Vogliono invece che nessuno cambi i connotati al sistema Italia. Vero è che Tremonti “tocca” i pensionati, anche quelli a basso reddito. Ma per salvare questi la sinistra e i sindacati dicono forse che le pensioni vere non si toccano ma si tocca qualcosa d’altro? Neanche per sogno la sinistra e la sua gente neanche si sognano di abolire le pensioni di anzianità, insomma i pensonati di fatto a 58 anni. E forse che qualcuno a sinistra risponde qualcosa di decente a Tremonti che conteggia: “Pensioni di invalidità passate da sei miliardi a sedici miliardi di spesa”? Certo Tremonti istituisce una patrimoniale sul risparmio, odiosa e aggravata dalla menzogna spudorata per cui “non si mettono le mani nelle tasche…”. Ma qualcuno a sinistra dice o pensa qualcosa di decente su come si trovano altrimenti quegli otto miliardi sottratti al risparmio?
Qualcosa di decente… invece c’è l’indecente processione di sindaci, governatori e presidenti, di Comuni, Regioni e Province che proclamano “l’ingovernabilità del territorio” se si taglia la loro spesa. Non si rendono conto di confessare così che per loro “governo” è ormai sinonimo di distribuzione di denaro pubblico. Forte è nella sinistra la “tentazione Loretta Napoleoni”: meglio un default che la fatica e la responsabilità di un governare. Perciò, se tra un anno o due governeranno loro, appare improbabile una riedizione del coraggio e della politica dei governi Ciampi e Prodi: hanno deviato un paio di volte la rotta dell’Italia che puntava verso la bancarotta e sembrano proprio essersene pentiti.
E la destra italiana? Assedia e non tollera Tremonti e la sua manovra, l’Europa e l’euro. Fortissima è anche qui l’insofferenza e la voglia di ripudio del debito. Nella versione leghista, si salvi il Nord e tutto il resto non conta. Nella versione più genuinamente di destra, si salvi casa mia e tutto il resto crolli. Non è ancora escluso che questa destra pur di restare al governo e al potere, pur di “non perdere milioni di voti” come lamentano Berlusconi e Bossi, faccia saltare il banco e avvii un valzer con la bancarotta.
Questo è il paese, quello reale e quello legale, uno specchio e riflesso dell’altro. Recenti calcoli dicono che i giovani, quelli fortunati che oggi lavorano non a nero e non a tempo, nel 2040 andranno in pensione con circa mille euro al mese. Una generazione condannata alla fame e all’insicurezza. Scandalo, sgomento e angoscia. E protesta, preoccupazione e allarme. Ma nessuno, proprio nessuno ha il coraggio e la coscienza di dire dove e perchè nasce quella fame futura, quasi certa. Nasce dal gran pasto della “generazione di cavallette”, quella nella destra e nella sinistra, nei sindacati e nelle corporazioni, quella dei loro padri che pensano il debito sia un dono di dio, una risorsa naturale e pubblica, un diritto acquisisto. Un debito da non pagare mai: sotto questo segno la generazione di cavallette marcia. Marcia e mente, ai suoi figli e anche a se stessa. Spiace soprattutto che la bugia sia linguaggio comune e festeggiato anche a sinistra. Ha scritto in questi giorni Giorgio Ruffolo, descrivendo con efficacia come l’iper liberismo finanziario negli ultimi decenni abbia distorto e resi instabile lo stesso capitalismo oltre che più ingiusta la società. Ma stabilire, guidare, immaginare, proporre chi, come e quando con sociale equità paga il debito, impedire che sul debito si creino le immani ricchezze di pochi, questo era e sarebbe la speranza di una sinistra politica. Per gridare e lacrimare “il debito non si paga” bastano i leghisti delle quote latte. E, purtroppo, vorrà pur dire qualcosa se la parola d’ordine e la bandiera del non si paga è la stessa sia degli “indignati” che degli evasori.