Fini promette che nel 2013 sarà primo ministro. Compagni, nemmeno un po’ di imbarazzo

Gianfranco Fini

Credo di essere stato tra i primi a capire il pericolo che Silvio Berlusconi rappresentava per la democrazia italiana, quando ancora solo Giovanni Valentini battagliava e Carlo Caracciolo, che poi ne divenne il più incrollabile avversario, sosteneva che era “un bravo ragazzo” e andava aiutato.

Posso anche dire di avere un merito secondo solo a Eugenio Scalfari e Caracciolo stesso, quando ormai si era resoconto dell’errore e pentito, nell’avere contribuito a evitare che Repubblica virasse verso la sirena berlusconiana.

Sono stato tra i pochissimi di quell’Alamo che provò a resistere, nel disinteresse diffuso degli editori di giornali, allo strapotere di Berlusconi al ministero delle Poste, non quando c’era Maurizio Gasparri, ma ai tempi della Bicamerale, ai tempi in cui il Pci fingeva di ascoltare le ragioni dei giornali e poi dava ordine ai suoi uomini di favorire lo sforzo lobbistico congiunto del partito Rai e del partito Mediaset.

Con queste credenziali, che pochi in Italia possono vantare, mi posso permettere di manifestare il fastidio che ho provato in  questi ultimi mesi, e continuo a provare, nel vedere la trasformazione di un ex fascista come Gianfranco Fini in un maître à penser della sinistra e in una specie di eroe della resistenza al nuovo Mussolini. (Che Berlusconi lo abbia a modello non c’è dubbio, ma l’Italia di oggi, anche grazie all’ancoraggio europeo, è cosa ben diversa da quella del 1922).

Non ho pregiudizi nei confronti dei fascisti. Ce ne sono anche di simpatici, come in tutte le fedi. Quanto meno fino all’ingresso nell’area di governo ho anche sempre avuto l’impressione che la percentuale di persone per bene nelle loro file fosse superiore agli altri partiti. E poi non si deve scordare che il fascismo fa parte della nostra identità nazionale, viviamo ancora in parte della sua eredità, nel bene e nel male, soprattutto nell’apparato statale e nell’intervento pubblico nel capitale aziendale. Credo che il rifiuto di accettare il fascismo come parte della nostra storia dipenda dalla paura di confrontarci con noi stessi e il nostro passato, inclusa la paura di scoprire bugie che ci sono state imposte come dogmi e anche che il male assoluto è in realtà un concetto relativo.

Considero sciocco bigottismo chi definisce brutta l’architettura fascista in quanto fascista. Mi piace l’architettura razionalista di quel periodo, anche perché non rappresenta una peculiarità italiana ma è solo la traduzione in italiano di un movimento mondiale. Certo non so se piangere o ridere quando in una traversa di viale Trastevere a Roma, noto sulla facciata di un bellissimo edificio, che l’architetto architetto Luigi Moretti progettò per la Gioventù del littorio, una delle massime del Duce, “importante vincere, più importante combattere”, restaurata perfettamente e recentissimamente, come se il furore iconoclasta che faceva cancellare le rodomontate mussoliniane da tanti muri italiani si fosse stemperato nel nuovo clima.

Ma il problema non è personale né umano, è politico.

Che i giovani, quelli nati negli anni 80 e successivi, ci caschino, posso anche capirlo, ma che questo avvenga per gente della mia generazione proprio non so darmene ragione.

Siamo stati educati ai valori della Resistenza; negli anni 70 non diventavi direttore di giornale se non ti dichiaravi “laico, democratico, antifascista”; nel 1977 la redazione della Stampa non fece uscire il giornale per impedire che fosse pubblicato l’annuncio, una colonna in cronaca, di un comizio di Giorgio Almirante, il padrino politico di Fini, quello che lo ha scelto e unto.

Possibile che si sia trattato solo di una gigantesca presa in giro? Possibile che si sia trattato soltanto di propaganda e che anche l’antifascismo si sia sgretolato insieme con il muro di Berlino?

Però la licenza di tabaccaio a mio padre perché non era fascista chi l’ha negata, mio cugino a morire con le scarpe di cartone ai piedi nelle steppe dell’Ucraina chi ce l’ha mandato?

Lo stesso discorso vale dall’altra parte. Per mezzo secolo, a torto o a ragione, ci sono alcuni milioni di italiani che hanno continuato a credere nel fascismo, per i cui principi migliaia e migliaia sono morti. In milioni, in libere democratiche elezioni hanno votato il partito che proponeva, nella nostra repubblica, le idee della repubblica sociale di Salò (e in effetti quelle idee hanno permeato la nuova Italia più di quanto ci abbiano mai lasciato capire i successori).

Possibile che tutta questa gente sia stata poi colta da un pentimento collettivo, abbiano scoperto tutti assieme che era tutto uno scherzo?

Possibile che la classe dirigente, di sinistra e di destra, ci abbia rotto i timpani per mezzo secolo senza alcun fondamento, senza alcuna idea, senza alcuna fede e oggi ci possano dire impunemente”abbiamo scherzato”?

Possibile che la via di Damasco passi per Montecitorio? Non c’è dubbio che 17 anni sono tanti e che nel frattempo anche il comunismo è morto e la gran parte dei comunisti hanno comunque abiurato. Ma ci hanno educato al fatto che fascismo e comunismo non erano la stessa cosa e ricordo ancora, proprio 17 anni fa, l’urlo al telefono di Scalfari che diceva:  “Ma ci pensi? Un fascista in Campidoglio!”, quando Fini sembrava avere forti probabilità di diventare sindaco di Roma, con l’appoggio allora esterno di Berlusconi, all’inizio di un lungo sodalizio che un po’ troppo tardi per i miei gusti si è rotto.

Certo Fini e i suoi uomini, se non hanno trovato la verità sulla via di Damasco, hanno certamente trovato una loro Lourdes nella piscina di Arcore, che li ha messi in gioco, li ha portati all’onor del mondo, ha fatto sì si che da “topi da fogna”, definizione antifascista di vent’anni fa, siano diventati ministri, presidenti e oggi uno di loro possa spavaldamente mettere il cappello sulla carica politica più importante, quella di primo ministro. Questo è un grande merito storico di Berlusconi, che quasi per magia ha svelenito mezzo secolo di postumi di quella che in parte è stata una guerra civile, certamente fratricida.

Questa è stata anche una grande colpa storica di Berlusconi, che ha rimesso in gioco e ridato vita a un partito unico al mondo, peraltro sancito fuorilegge dalla Costituzione, inevitabilmente destinato a una crescente marginalità e invece rifiorito con nuovo sangue trasfuso dall’ex partito socialista e altri tronconi di politica.

Non mi pare che questi pensieri occupino né preoccupino più di tanto.

Oggi tutti sono presi, anzi travolti dall’odio per Berlusconi e in nome del “mandiamolo a casa” qualunque alleato va bene. Viene da pensare agli americani, che in nome dell’anticomunismo esasperato di Reagan appoggiarono anche i talebani, salvo poi pentirsene, alcuni lustri dopo. Gli stessi americani, nel 1945 non caddero nell’errore in cui, se fossero stati loro al governo, sarebbero certamente caduti Reagan e Bush, quando Hitler si offrì come alleato nella lotta a Stalin e al comunismo sovietico. Altri tempi, altra gente.

Purtroppo lo stesso vale per l’Italia, anche se, a onore del vero, la “finite”, come malattia d’amore per Fini, sembra più riguardare i giornalisti che i politici di sinistra, che si guardano bene dal tendere la mano all’ex camerata e, un po’ ingenuamente forse, sperano solo di usarlo senza doversi sporcare troppo le mani.

Così in nome dell’antiberlusconismo e degli orrendi crimini che sono addebitati a Berlusconi, nessuno dà peso al fatto che il neo paladino della questione morale Gianfranco Fini abbia saputo dal cognato che nel patrimonio del partito c’era una casa da vendere e abbia ordinato di venderla a un prezzo non sostenuto da una perizia del genere perizie proprio a chi gli proponeva il cognato. Ma cosa è mai di fronte a Ruby, ai pentiti mafiosi, alle prescrizioni gabellate per assoluzioni? Poco, pochissimo, ma vorrei vedere se l’avesse fatto qualcuno con i vostri soldi se sareste così magnanimi. Hanno chiesto l’archiviazione perché non ci sarebbe truffa, ma l’etica va oltre o viene prima del diritto penale, la questione morale non è tema da pubblico ministero, che deve solo vedere se la legge penale è stata violata. La questione morale è quella cosa per cui non affido i miei beni a uno che “non mi piace” anche se non è mai stato dentro e nemmeno “avvisato”. La questione morale si sposa con la politica, con la fiducia, e in politica basta la faccia. Uno slogan contro Richard Nixon fu: “Comprereste un’auto usata da uno con una faccia così?”. Nixon non ha mai rubato, non è mai stato in carcere, è stato solo giudicato non idoneo, impedito di continuare a fare il presidente degli Usa. Era una questione di faccia, il pregiudizio ha avuto ragione.

Per questo mi ha lasciato di sasso il fatto che nessuno abbia fatto una piega quando domenica sono rimbalzate in Italia le parole dette da Fini a un giornale tedesco: “Sarò premier nel 2013”. Questo proprio non me lo aspettavo. La cosa è andata giù liscia come nel burro e nessuno ha trovato nulla da ridire, nessuno ha provato il minimo fastidio.

Mi potrebbe andare tutto bene, se per anni non ci aveste massacrato con i vostri pregiudizi e il vostro bigottismo politico. Ma nessuno prova un minimo non dico di vergogna ma quanto meno di imbarazzo?

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Marco Benedetto