Si apre la domenica, e si può prevedere la settimana politica, con i commenti del dopo partita. Mezza Italia ha passato il sabato connessa con i siti internet vicini a Gianfranco Fini, nell’attesa del video verità. Quasi dieci minuti in tono molto dimesso, un Fini ben differente da quello che ruppe con Silvio Berlusconi in diretta tv con l’indice alzato e la voce un’ottava sopra.
Non è stata una grande performance. Forse avrebbe potuto fare di meglio se lui o qualcuno dei suoi consiglieri con i quali è stato chiuso otto ore prima della registrazione si fossero ricordati di un pezzo di storia, il famoso discorso fatto in tv sessant’anni fa da un Richard Nixon che, accusato di finanziamenti non corretti, fece letteralmente piangere l’America includendo nella lista delle donazioni il cockerino Checkers, che non aveva avuto il coraggio di restituire per non fare soffrire la figlia.
Altri tempi, altri stili, difficile dire chi sia meglio e chi sia peggio. In entrambi in casi non è in ballo la legge penale, ma la correttezza, l’etica dei comportamenti. Qui non c’è competenza della magistratura, è solo territorio del comune sentire. E non c’è in ballo gente comune, ma un uomo politico di primo piano, che dovrebbe conoscere gli obblighi di trasparenza che vengono col potere. Per i politici la privacy deve essere zero, la loro vita privata ci riguarda tutti, perché dalla loro dipende un po’ anche la nostra.
Sarà ora interessante seguire i commenti dei giornali e dei politici. Ciascuno, secondo lo schieramento, vedrà e non vedrà quel che più è funzionale alla propria convinzione, tutti certamente nella più completa buona fede.
Quel che sembra essere sfuggito alla maggior parte dei commentatori è una ammissione, fatta nel video, da cui Fini non esce molto brillantemente: dice infatti che il cognato si rivolse a lui per proporgli la vendita dell’alloggio di Montecarlo alla società Printemps e che fu lui, Fini, a dare ordine all’amministratore del partito di venderla e a questo proposito Fini, rispondendo a chissà quali pressioni dalla pancia dei fedelissimi del partito, si sente anche in dovere di fare un presentat’arm all’onestà del senatore Pontone. Pontone, va notato, è stato leale fino alla fine, al punto di dire che a lui di Tulliani Fini non ha mai parlato, cosa che può anche corrispondere a una mezza verità, perché è probabile che Fini gli abbia parlato solo della società offshore compratrice, Printemps.
Questa rivelazione di Fini è una significativa differenza rispetto a quanto Fini ha sempre sostenuto, che lui apprese della vicenda di Montecarlo dal Giornale di Berlusconi e Feltri e lo ha sempre detto con tale convinzione che ancora domenica 26, nel suo editoriale settimanale dedicato alla vicenda Fini e in particolare al video, Eugenio Scalfari afferma convinto che Fini “ha ribadito nel video di ieri che nulla aveva mai saputo fino a quel momento della vicenda” e che l’appartamento di Montecarlo fu venduto “ad equo prezzo (secondo le valutazioni di allora)”, senza però precisare se l’allora sia quando Montecarlo entrò nel patrimonio di An o quando l’alloggio fu venduto agli amici di Tulliani, dieci anni dopo, quando un appartamento nella rivale Portofino aveva superato di gran lunga i 10 mila euro a metro quadrato.
La dichiarazione di Fini dà peraltro una maggiore parvenza di verosimiglianza alla ricostruzione anche innocentista. Peccato, come nota Scalfari, che lo abbia fatto solo ora, dopo mesi di risposte oblique se non di bugie.Tulliani viene a sapere, oh diavoletto d’uomo, chi l’avrebbe mai pensato, che nel patrimonio di An c’è un appartamento a Montecarlo di cui non sanno cosa farsi. O forse sono quei demoni che si nascondono dietro il velo della Printemps, gente capace, spregiudicata, che prospera all’ombra dei paradisi fiscali, sono loro che ricevono l’imbeccata e contattano Tulliani e gli chiedono di intercedere presso il cognato. Fini a questo simpatico ragazzo non sa dire di no, anche perché non c’è nulla di male, in fondo e certamente non c’è nulla di illegale e passa la palla a Pontone.
Evidentemente quelli di Printemps avevano un puro interesse di investimento (visto il prezzo si potrebbe anche usare l’aggettivo speculativo) e dovendo affittare l’appartamento lo hanno affittato a Giancarlo Tulliani a un prezzo di favore, anche per riconoscerli qualcosa per l’intercessione come mediatore di famiglia (spiegazione data dallo stesso Tulliani).
Tutta l’attenzione è sul dopo. Nell’esortazione di Fini a porre termine al gioco al massacro è stato letto un invito alla tregua rivolto a Berlusconi e la domanda è se Berlusconi si accontenterà o vorrà la totale eliminazione, quanto meno politica, del ribelle.
Lo stato d’animo di Berlusconi è comprensibile. Fino alla sua “discesa in campo” del 1994, i neofascisti del Msi stavano “nelle fogne”, reietti e esclusi dall’arco costituzionale che comprendeva tutti i partiti tranne loro. La spregiudicatezza al limite dell’eversione di Berlusconi li portò al centro del gioco e sbalzò i loro capi ai vertici dello Stato e del Governo.
Sono passati tre lustri, durante i quali An, mutazione del Msi, è stata fedele compagna di viaggio di Berlusconi, al punto di fondersi, a primavera 2009, con Forza Italia per dare vita al Popolo delle libertà. Da quel momento ha avuto inizio la ribellione di Fini: forse ha scoperto con invidia quanto fosse più bravo di lui questo parvenu della politica; forse ha capito che Berlusconi lo aveva giocato, sfilandogli da sotto il partito; forse semplicemente ha considerato scaduti i termini della gratitudine, che invece per Berlusconi avrebbero dovuto essere eterni.
Quale che sia la causa, resta il fatto che Fini si trasformò.
Per quindici anni era stato compare acritico di tutte le nefandezze di Berlusconi: votò senza discutere la legge Gasparri sulla tv, votò con entusiasmo la prima feroce versione della legge bavaglio repressiva della libertà di stampa, peraltro proposta da Clemente Mastella, ministro della Giustizia di Romano Prodi, fece sempre quadrato a difesa degli interessi di Berlusconi.
Dalla sera alla mattina si è schierato, puntualmente e puntigliosamente, contro, al punto di diventare, per alcuni giornali e giornalisti della sinistra, una specie di emblema e di maitre à penser.