ROMA – La Procura di Roma aveva chiesto l’archiviazione per Gianfranco Fini e Francesco Pontone (l’ex tesoriere di An) sulla vicenda della casa di Montecarlo: ora le carte potrebbero essere rimescolate visto che i nuovi documenti arrivati da Santa Lucia (secondo cui il proprietario dell’immobile sarebbe Giancarlo Tulliani) saranno allegati alla richiesta di archiviazione.
Secondo la documentazione inviata in Italia dal ministro della Giustizia di Santa Lucia il cognato del presidente della Camera è il titolare delle società off-shore che si sono succedute nella proprietà dell’appartamento di Montecarlo ereditato nel 1999 da An.
La notizia di allegare le nuove carte alla richiesta della Procura è stata decisa dal procuratore della Repubblica di Roma Giovanni Ferrara e l’aggiunto Pierfilippo Laviani dopo aver esaminato le tre pagine arrivate dal paese caraibico. I due magistrati stanno predisponendo l’atto di integrazione del fascicolo già trasmesso al presidente dei gip, Carlo Figliolia il quale, il 2 febbraio prossimo, dovrà pronunciarsi sull’opposizione alla richiesta di archiviazione che vede Fini e Pontone indagati per truffa.
L’integrazione del fascicolo processuale con la versione, tradotta in italiano, dei documenti arrivati in Italia dal governo di Santa Lucia sarà accompagnata da un parere degli inquirenti sulla valenza processuale del loro contenuto. Tale parere sarà espresso nei prossimi giorni, ma ragionevolmente i magistrati si rifaranno alla parte della richiesta di archiviazione in cui hanno evidenziato l’eventuale natura civilistica della vertenza, lasciando alle iniziative private la prosecuzione della causa.
In particolare i pm di piazzale Clodio, nel provvedimento con cui hanno avanzato la richiesta di archiviazione nei confronti di Fini e Pontone hanno sottolineato che nonostante il Principato di Montecarlo, e precisamente Chambre Immoboliere Moneguasque abbia dichiarato che il ”valore di mercato dell’ immobile occupato all’epoca da Giancarlo Tulliano era triplicato al momento dell’alienazione rispetto a quello dichiarato ai fini successori (270 mila euro)”, tale valutazione ”è stata effettuata – è la conclusione degli inquirenti – in astratto, senza tener conto delle condizioni concrete del bene, descritto dai testi come fatiscenti”.
Per la procura di Roma ”qualsivoglia doglianza, quindi – è detto nel provvedimento inviato al Gip – sulla vendita a prezzo inferiore non compete al giudice penale ed è eventualmente azionabile nelle competente sede civile”.