Flavia Perina: “Una volta scrivere sul ‘Secolo’ era un marchio di infamia”

«Qualche anno fa scrivere per il Secolo era considerato quasi un marchio di infamia, uscito da lì non trovavi lavoro. E infatti la maggior parte dei giornalisti passati per via della Scrofa non è che abbiano fatto chissà quale carriera. Spesso sono stati obbligati a scegliere dimensioni piccole, lontane dal circuito dell’informazione mainstream»: lo dice il direttore del Secolo d’Italia Flavia Perina in un’intervista al mensile free press Pocket.

«Il Secolo – spiega il direttore – sta cercando di interpretare una destra di caratura europea, quella incarnata da Merkel e Sarkozy, attenta ai diritti civili, all’ambiente, proiettata nella modernità, in grado di offrire speranze e non paure».

«Non subiamo nessuna imposizione da An – aggiunge – siamo una piccola realtà con un livello elevatissimo di autonomia. La prassi della velina passata dai dirigenti di partito al direttore di giornale non ci appartiene. E abbiamo appena messo on line il nuovo sito, ultimo step di un processo di ristrutturazione avviato due anni e mezzo fa».

Perina parla anche del finanziamento pubblico di cui il Secolo d’Italia, come altri giornali, usufruisce: «Se lavorassimo sul libero mercato, a vendere sarebbero solo i giornali porno. Uno dei compiti principali di una democrazia è creare modernità: ragionamenti e idee stanno in basso nella scala dell’appeal sui lettori, non ritengo scandaloso sostenerle. È vero, “Il Fatto” di Padellaro ha rinunciato ai finanziamenti, ma se lo può permettere perché segue un po’ la stessa linea del Giornale, quotidiani che vendono bene attingendo alla categoria dello scandalismo, non solo a quella, comunque. Fin dai tempi delle storie d’amore dei reali il gossip ha aiutato a vendere i giornali».

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Lorenzo Briotti