Ha superato il vaglio di costituzionalita’ il reato di ‘clandestinita’, ossia l’ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, introdotto nel 2009 per inasprire le pene nei confronti degli immigrati irregolari. Lo ha deciso la Consulta – con la sentenza 250, relatore Giuseppe Frigo – sottolineando che la norma non viola la Costituzione perche’ ”il bene giuridico protetto” e’ ”identificabile nell’interesse dello Stato al controllo e alla gestione dei flussi migratori”.
”L’ordinata gestione dei flussi – risponde la Corte Costituzionale rintuzzando i dubbi avanzati nelle ordinanze dei Giudici di Pace di Lecco e di Torino che sostenevano la irragionevolezza della norma – si presenta come un bene giuridico strumentale, attraverso la cui salvaguardia il legislatore attua una protezione in forma avanzata del complesso di beni pubblici ‘finali’, di sicuro rilievo costituzionale, suscettivi di essere compromessi da fenomeni di immigrazione incontrollata”. Inoltre, il potere di disciplinare l’immigrazione rappresenta ”un profilo essenziale di sovranita’ dello Stato, in quanto espressione di controllo del territorio”.
Il nuovo reato – spiega la Consulta – non postula la ”presunzione assoluta di pericolosita’ sociale dell’immigrato”, come sostenuto dai giudici di merito, ma ”si limita a reprimere la commissione di un fatto oggettivamente e comunque antigiuridico, offensivo di un interesse reputato meritevole di tutela: violazione riscontrabile indipendentemente dalla personalita’ dell’autore”.
Pertanto, il reato di clandestinita’ non sanziona ”la condotta di vita e i propositi del migrante irregolare, i quali, ove assumano connotazioni criminose troveranno eventualmente risposta punitiva in altre norme”, quanto ”piuttosto e soltanto l’inosservanza delle norme sull’ingresso e il soggiorno dello straniero nel territorio dello Stato”. Anche la Presidenza del Consiglio – tramite l’Avvocatura dello Stato – aveva chiesto la ‘bocciatura’ dei dubbi di costituzionalita’.